Le norme fondamentali delle riforme economico-sociali
Altro limite posto alla potestà regionale primaria è quello del rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali.
La vaghezza concettuale di tale formula ha permesso al legislatore di restringere gli spazi dell’autonomia, degradando la potestà primaria a potestà ripartita.
Non si è avuta una forte selezione di norme in modo tale da far sì che le leggi regionali dovessero effettivamente rispettare solo delle norme fondamentali e di riforma.
Si noti come l’intento del legislatore sia quello di livellare le due potestà legislative, attraverso l’impiego di leggi statali double face, ossia leggi che per un verso dichiarano di contenere norme fondamentali, e per altro verso di contenere principi fondamentali, in modo da imporsi al rispetto sia della potestà piena, sia a quello della potestà ripartita.
La Corte costituzionale ha cercato in molti casi di opporsi alle forme più esasperate di assoggettamento dell’autonomia all’indirizzo politico dello Stato, censurando specialmente quelle leggi che si autoqualificando come portatrici di norme fondamentali.
Non meno problemi sembrano prospettarsi con la riforma del titolo V, che modificando l’art 117, fa riferimento non più a norme fondamentali, ma a “livelli essenziali” delle prestazioni con riguardo ai diritti civili e sociali. Infatti la vecchia formula (norme fondamentali), come del resto la nuova (livelli essenziali), mirava a restringere l’area di intervento statale, ma l’obiettivo prefissato dalla seconda può essere perseguito anche con regole oltre che con principi.
Gli obblighi internazionali dello Stato (ed i rapporti tra Regioni e Comunità/Unione europea)
Altro limite previsto dagli statuti speciali è dato dal rispetto degli obblighi internazionali dello Stato.
Le argomentazioni poste a sostegno di questa esclusione non sono però apparse soddisfacenti, tant’è vero che col tempo si è assistito alla graduale partecipazione delle Regioni alla cd fase discendente della formazione degli accordi internazionali (attuazione-esecuzione atti) e raramente anche alla fase ascendente (formazione atti).
Le Regioni hanno interpretato in maniera estensiva alcune disposizioni contenute sia nella Legge Bassanini, che nel DPR 616/77, ma ciò ha creato gravi squilibri, sia per ciò che concerne il diverso ruolo esercitato dalle Regioni sul piano dei rapporti internazionale e dei rapporti con la Comunità/Unione Europea.
Il quadro delineato dalla riforma del titolo V è molto complesso e difficilmente se ne comprende la ratio. Infatti per la fase discendente si riconosce la possibilità di partecipare alle Regioni sia per gli accordi comunitari che per quelli internazionali, mentre invece è permessa la partecipazione alla fase ascendente solo con riguardo agli accordi comunitari.
Si rimanda poi ad una legge per stabilire le modalità di tale partecipazione e le modalità di esercizio dei poteri sostitutivi da parte dello Stato in caso di inadempienza regionale.
Nel nuovo quadro costituzionale sono poi incluse altre disposizioni che complicano ancor di più il riparto delle competenze tra Stato e Regione.
Da una parte ci si affida ad una legge statale perché vangano stabilite le modalità di esercizio delle competenze regionali in relazione alle attività internazionali e comunitarie, mentre dall’altra la materia dei rapporti internazionali e con l’UE sono considerati riserva dello Stato.
Inoltre il IIIc dell’art 117 esclude, per le materie di potestà piena delle Regioni, l’esclusiva attuazione data dalle Regioni agli accordi internazionali. L’unico modo per evitare che sia intaccata l’autonomia regionale è interpretare la disposizione succitata nel senso che l’intervento della Regione non sia possibile con riguardo agli aspetti di ordine istituzionale ( ad es la partecipazione ad un organismo internazionale).
È proprio questa la strada intrapresa dalla L La Loggia àla Regione ha la possibilità di attuare gli accordi internazionali ratificati comunicandolo alla Presidenza del Consiglio ed al Ministro degli Esteri.
Le Regioni possono stipulare accordi di diritto internazionale (treaty making power) “nei casi e nelle forme disciplinate dalle leggi dello Stato”.
Bisogna tuttavia distinguere tra accordi veri e propri, che vengono conclusi con lo Stato estero, e intese, stipulati con enti territoriali stranieri. Alcuni dubitano che questi ultimi possano essere equiparati a patti di diritto internazionale visto che non vincolano l’intero Stato estero.
La Regione in questa sede, oltre che tener conto dell’art 117 Ic, deve rispettare gli indirizzi di politica estera impartiti dal Governo.
Con riguardo ai rapporti tra Regione e Comunità europea, la Legge la Pergola, come riformata dalla L 128/1998, prevede che le Regioni possano dare diretta attuazione alle direttive comunitarie, cosa che era prevista inizialmente solo per le materie di potestà piena; per quelle di potestà ripartita occorreva attendere la legge comunitaria approvata annualmente dal Parlamento.
Una legge statale, attuativa di una direttiva comunitaria, prevale immediatamente sulle disposizioni regionali contrastanti. Inoltre lo stesso Stato si trova limitato nella partecipazione alla fase discendente, essendo ormai le direttive sempre più dettagliate e minuziose.
È proprio per questo motivo che si è cercato di aumentare l’influenza statale e regionale con riguardo alla fase ascendente, ma i mezzi finora utilizzati non hanno dato molti frutti. Inadeguata è stata la previsione della L 400/1988 (consultare la Conferenza Stato-Regione in caso di trattazione di materie che riguardano le competenze regionali); inadeguata altresì la L La Pergola (trasmissione dei progetti di atti comunitari alle Camere ed alle Regioni)
La legge La Loggia invece prevede sia che sia mantenuto invariato il ruolo della Conferenza Stato-Regioni, quale sede di raccordo interno, sia che si riconosca alle Regioni il diritto ad esser presenti in seno alle delegazioni del Governo.
Novità fase ascendente: CIACE (comitato interministeriale per gli affari comunitari europei); riserva di esame parlamentare àil Governo può sospendere la propria partecipazione alla formazione degli atti comunitari nell’attesa del loro esame della Camere; tale riserva è estesa anche alle Regioni. I progetti sono trasmessi alla Conferenza dei presidenti delle Regioni ed alla conferenza dei presidenti dei consigli affinché a loro volta li trasmettano alle Giunte e ai consigli.
Fase discendente: si è discusso sulla possibilità di attuazione delle direttive in via regolamentare ed amministrativa, pur quando esse riguardino materie di competenza regionale per rimediare alle eventuali carenze in ambito locale. La sostituzione può avvenire solo se:
a) Sia decorso il termine fissato per l’attuazione della normativa comunitaria.
b) Perderà efficacia dal momento in cui le Regioni si doteranno di una propria disciplina;
c) Deve essere dichiarato il carattere sostitutivo del provvedimento;
d) È caratterizzato da cedevolezza;
e) Deve essere previamente esaminato dalla Conferenza Stato-Regioni.