Si tratta di un tipo di potestà molto particolare, alla quale partecipano lo Stato, che fissa i principi e la Regione, che fissa le regole. Si tratta di una distinzione molto labile tuttavia.

Inizialmente il legislatore aveva fatto propria la teoria secondo cui la cd legge quadro o legge cornice, avrebbe dovuto precedere la legge regionale. In un secondo momento però lo stesso legislatore ha rigettato quest’idea, stabilendo che il legislatore regionale debba basarsi sulle leggi quadro laddove vi siano, mentre laddove manchino dovrà rispettare i principi generali desumibili dalle leggi vigenti.

Non è detto che le leggi quadro aumentino la tutela dell’autonomia regionale. Anzi a volte la diminuiscono. È il caso delle leggi che si autoqualificano come leggi contenenti principi, ma che in realtà non lo sono. La giurisprudenza in merito è molto chiara: non è sufficiente l’autoqualificazione, ma è sempre necessaria una verifica di costituzionalità.

La legge La Loggia ha conferito una delega al Governo, affinché potesse effettuare una ricognizione dei principi fondamentali in vigore, ricognizione sempre soggetta al possibile riscontro della Corte Costituzionale.

Il timore più grande in relazione a tale ricognizione risiede nel fatto che il legislatore potrebbe essere distolto dal compito di approvare nuove leggi quadro, stabilizzandosi la determinazione dei principi fondamentali da parte del Governo.

Investita della questione, la Corte Costituzionale si è pronunciata con una sentenza che ha dei tratti ambigui. Infatti è stato sciolto il vincolo dei criteri direttivi posti dalla delega, lasciano completamente libero il Governo ed essendo stati alterati profondamente i tratti distintivi della delega.

Prima della riforma del 2001, era data la possibilità alle leggi quadro di contenere oltre che i principi, delle regole, caratterizzate da cedevolezza nel caso in cui la Regione provveda a produrre le norme di dettaglio, ma prevalenti rispetto ad una disciplina legislativa regionale previgente se contraria ai principi contenuti nella legge quadro. Dunque non si tratterebbe tecnicamente di un’abrogazione della legge regionale, ma di invalidità sopravvenuta.

Questo rende palese ancor di più che non si tratti di separazione di competenze, ma di integrazione delle competenze, essendo stata riconosciuta l’idoneità alle leggi statali di prendere il posto di quelle regionali.

Dopo la riforma del titolo V, molti hanno cercato di cambiare lo stato di cose adducendo motivazioni non molto convincenti. Ad esempio si disse che l’art 117 sancisce espressamene al IIIc che la legge statale debba limitarsi a fissare i principi fondamentali, o che l’esperienza fatta fino ad ora di questo tipo di modello, era stata negativa se si considerava l’autonomia regionale.

Tutte motivazioni che non convinsero particolarmente.

Insicura è anche la soluzione adottata dalla L La Loggia, che fa salve le disposizioni normative vigenti al momento dell’entrata in vigore della stessa legge in attesa della loro sostituzione da parte delle disposizioni regionali, ma non è stato chiarito se potessero essere sostituite da nuove disposizioni statali di dettaglio.

In linea di massima, prendendo in esame la giurisprudenza a disposizione, si può affermare che al primo posto c’è sempre l’analisi degli interessi in gioco. È solo in base alla loro natura che si può stabilire se sia necessario un intervento statale più penetrante o meno, quale che sia la potestà in esercizio e la materia considerata. È dunque la logica dell’interesse che sta alla base dell’equilibrio tra fonti statali e regionali, e non la materia o la competenza.

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