Il nuovo titolo V non fa alcuna menzione di eventuali funzioni di indirizzo e coordinamento da attribuirsi allo Stato in relazione all’esercizio delle funzioni amministrative da parte della Regione. Neppure l’originario testo Costituzionale lo prevedeva, ma tali funzioni erano state introdotte attraverso le L 281/1970. Le modalità di esercizio sono state poi fissate dalla L 382/1975 cha ha investito di tale compito la legge o atto avente forza di legge, ovvero la deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata su proposta del Presidente del Consiglio e d’intesa col ministro/i competente/i.
Per comprendere il silenzio della riforma deve innanzitutto considerarsi che tale previsione avrebbe potuto essere in contrasto con i costituenti, che originariamente non l’avevano introdotta nel testo costituzionale.
La Corte inoltre è giunta ad affermare che gli atti di indirizzo e controllo posti in essere dallo Stato, avrebbero sicuramente influenzato la produzione legislativa regionale, cose impensabile: infatti è la legge a dover influenzare gli atti amministrativi e non gli atti amministrativi a dover influenzare la legge.
Dunque gli accesi dibattiti che hanno caratterizzato la questione, non possono far pensare che il legislatore abbia taciuto sul punto nell’intenzione di mantenere invariato il regime legislativo, ma semmai al contrario, tacendo ha voluto rinnegare la funzione statale di indirizzo e coordinamento.
Il silenzio della riforma suggerisce dunque di optare per l’inapplicabilità sopravvenuta delle norme sull’originaria funzione di indirizzo e coordinamento. Tuttavia non deve ritenersi che ogni altra forma di coordinamento tra i diversi livelli di Governo debba considerarsi preclusa.
Lo conferma il IIIc dell’art 118 Costituzione, il quale elenca i casi in cui lo Stato debba istituire forme di coordinamento tra lo Stato e le Regioni o tra tutti gli enti, ma non preclude che altre possano essere introdotte.
Tuttavia la riforma non può che deludere sotto il profilo della ripartizione delle competenze, non normative ma amministrative. La sparizione del commissario infatti ha eliminato un ulteriore istituto utilizzabile nella prospettiva della leale cooperazione.