Occorre innanzitutto distinguere l’attività istituzionale (svolta per perseguire i fini solidaristico e di parentesi da quella commerciale delle organizzazioni di volontariato, individuando il contenuto delle operazioni effettuate. Ai sensi dell’ art. 5 le entrate possibili per le organizzazioni di volontariato sono: contributi (degli aderenti, privati, stato…); donazioni e lasciti testamentari; rimborsi derivanti da convenzioni; entrate derivanti da attività commerciali marginali. Per quanto riguarda i contributi (che possono consistere in quote di iscrizione, di abbonamento ad una rivista dell’organizzazione…), la loro caratteristica principale è la libera volontà di chi li elargisce; ciò esclude ogni forma di vincolo da parte del donante che derivi dallo statuto o da altra fonte normativa, poiché in tal caso si tratterebbe di corrispettivi in senso tecnico.
La differenza tra contributi privati e pubblici è che mentre i primi sono liberi, i secondi sono vincolati a specifiche attività (e non possono ad esempio essere utilizzati per le spese generali). Le donazioni e lasciti testamentari sono vincolati alle finalità proprie dell’ente. Il rimborso delle spese consiste nel recupero di quelle sostenute effettivamente per l’esercizio dell’attività, e non si configura come il corrispettivo di una prestazione.
Ai sensi dell’ art. 8 della legge 266/91 le organizzazioni di volontariato possono esercitare un’attività commerciale marginale, diretta al reperimento dei fondi necessari per il conseguimento dei fini.
Parte della dottrina ha stabilito che l’esercizio abituale di un’attività commerciale da parte delle organizzazioni di volontariato, non sarebbe inconciliabile con le finalità solidaristiche e nemmeno con la previsione dell’art. 2 , che riferisce l’assenza del fine di lucro alla sola attività compiuta dal singolo. La tesi che le organizzazioni di volontariato o svolgano un’attività commerciale e strumentale al conseguimento di mezzi finanziari necessari per il raggiungimento dei fini sono idealistici, sembra confermata dal legislatore, che prevede che le risorse per il funzionamento è lo svolgimento delle attività possano derivare da attività commerciali e produttive marginali.
Tuttavia non è possibile la partecipazione a gare pubbliche in regime di concorrenza, sulla base del carattere non lucrativo dell’attività esercitata, nonché sull’impossibilità di quantizzare un corrispettivo per i servizi da prestare.