Il pubblico ministero (p.m.) è l’ organo che rappresenta, nel procedimento penale, l’ interesse generale dello Stato alla repressione dei reati; le funzioni che egli è chiamato a svolgere sono indicate nell’ ordinamento giudiziario e nel codice di rito. In particolare, il p.m.:
• veglia all’ osservanza delle leggi e alla pronta e regolare amministrazione della giustizia (art. 73 ord. giud.);
• promuove la repressione dei reati e, cioè, svolge le indagini necessarie per valutare la sussistenza o meno di elementi idonei a sostenere l’ accusa in giudizio: in caso affermativo, esercita l’ azione penale; diversamente, chiederà l’ archiviazione (artt. 73 ord. giud. e 50, co. 1 c.p.p.).
Attualmente, il p.m. viene configurato come il rappresentante della legge ed è, quindi, ad essa vincolato (nella vigenza del codice Rocco del 1930, invece, egli era considerato il rappresentante del potere esecutivo presso gli organi del potere giurisdizionale): con l’ entrata in vigore della Costituzione repubblicana, si è, infatti, voluto tenere il pubblico ministero fuori dalla mischia politica e, soprattutto, fuori dal controllo dell’ esecutivo (non a caso, l’ art. 112 Cost. impone al pubblico ministero l’ obbligo di esercitare l’ azione penale qualora ritenga che gli elementi acquisiti nel corso delle indagini siano idonei a sostenere l’ accusa in giudizio).
Nell’ ordinamento italiano, il p.m. è configurato come un magistrato con alcune garanzie di indipendenza, simili a quelle dei giudici; nonostante questo, però, è bene tener presente che la figura del p.m. resta comunque distante da quella del giudice: a differenza di quest’ ultimo, infatti, al p.m. manca, innanzitutto, la potestà di jus dicere, vale a dire di emettere una decisione (impronta indefettibile dell’ attività giurisdizionale); in secondo luogo, egli non presenta i tratti tipici degli organi giurisdizionali (basti pensare, ad es., che l’ art. 101 Cost. mentre si preoccupa di stabilire che i giudici sono soggetti unicamente alla legge, non altrettanto fa per i magistrati del p.m.: e ciò induce a pensare che essi possano, in qualche modo, subire dei vincoli di soggezione).
Questa differente collocazione dei due organi (p.m. e giudice) si trasferisce puntualmente dal contesto ordinamentale a quello processuale: il p.m., infatti, dopo l’ esercizio dell’ azione penale, si fa portatore, all’ interno del processo, di una richiesta di decisione che accolga le ragioni dell’ accusa (avanzata ad un giudice, terzo ed imparziale); proprio per questo motivo, quindi, egli deve essere considerato una vera e propria parte processuale (anzi, una parte pubblica, dal momento che egli rappresenta l’ interesse generale dello Stato e, cioè, l’ interesse della società, che è stata lesa dal reato).