Il fenomeno dell’invalidità degli atti processuali è disciplinato nel C.P.C. nel capo “della nullità degli atti processuali”: questo rivela l’orientamento del legislatore nel senso di ricondurre alla sola nullità ogni altro aspetto del fenomeno dell’invalidità. Il legislatore non ha creato una contrapposizione (come nel diritto sostanziale) tra nullità e annullabilità, preferendo configurare una nozione della nullità propria del diritto processuale civile, che ricomprende anche caratteri dell’annullabilità. Si è poi servito delle 2 nozioni che si pongono ai confini della nullità: da una parte la cosiddetta “semplice irregolarità”, d’altra parte la cosiddetta ”inesistenza”, lasciando alla dottrina il compito di regolare in queste 2 nozioni fenomeni che non rientrano nella nullità. Tra gli art 156 e 162 , la nullità è presentata come oggetto di una pronuncia da parte del giudice, in mancanza di cui l’atto processuale produce ugualmente i suoi effetti (la pronuncia è allora elemento costitutivo dell’inefficacia ex tunc). Questa situazione è affine a quella di annullamento del diritto sostanziale, in quanto è essenziale per l’inefficacia dell’atto, tuttavia è anche affine alla nullità del diritto sostanziale, perché l’inefficacia sarà ex tunc (e non ex nunc come per l’annullamento). La pronuncia allora determina a posteriori il crollo dell’atto viziato e degli atti successivi (che dipendono da esso) (159 1° e 2°); tuttavia ex 2° e 3° gli atti precedenti e indipendenti dall’atto viziato, non sono soggetti a nullità.