Si esamina ora la posizione di colui al quale si chiede la tutela giurisdizionale: l’organo giurisdizionale. Quest’ultimo deve prestare la tutela (in quanto impersona lo Stato), a seguito del diritto di azione (di cognizione) . Quindi il giudice avrà il dovere di compiere tutti quegli atti che coordinandosi a vicenda (in correlazione anche con gli atti degli altri soggetti del processo) conducono alla pronuncia della decisione (provvedimento sul merito). Esso è il cosiddetto “dovere decisorio del giudice”, fondato sul 112 C.P.C., che impone al giudice di decidere su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa (c. d. ”corrispondenza tra chiesto e pronunciato”.

A) Ex 112 il giudice “deve decidere” (enuncia il dovere decisorio in se stesso). Presupposto di ciò è che la domanda possa fondare il dovere del giudice a pronunciarsi sul merito. Una domanda invece priva di condizioni dell’azione o invalida, comporterà come già detto una pronuncia del giudice sul processo. Chiarito ciò, si deve dire che il contenuto del dovere decisorio del giudice sul merito è la decisione (o giudizio). Quest’ultimo si articola nell’enunciazione in astratto della portata attuale (perchè potrebbe non integralmente coincidere con quella che fu propria dell’atto legislativo che la pose in essere) della norma (cosiddetto ”giudizio sul diritto”) e nel riscontro che, nel caso concreto, si sono verificati i fatti costitutivi e gli eventuali fatti lesivi (cosiddetto ”giudizio sul fatto”). La sintesi di questi 2 momenti è il cosiddetto “sillogismo del giudice” o “giudizio”, ossia l’enunciazione che in quel certo caso la volontà astratta di legge enunciata, è oppure non è divenuta concreta così come enunciata, e come tale è oppure non è abbisognevole di tutela. La premessa maggiore del sillogismo è costituita dal giudizio sul diritto (cioè il momento logico in cui il giudice ragiona come un puro giurista sul piano astratto: ad esempio nell’ambito della responsabilità contrattuale ex 1218 C.C. deve stabilire se esiste oppure no una clausola limitativa della responsabilità nei fatti affermati), mentre la premessa minore è costituita dal giudizio sul fatto (in cui il giudice opera come uno storico, anche se il giudice ha dei vincoli che lo storico non ha). Ora il sillogismo del giudice è solo una semplificazione di comodo di una serie di operazioni mentali complesse e coordinate tra loro, ma sotto il profilo pratico, appare molto utile questa distinzione, sebbene i suddetti 2 giudizi non possono mai compiersi indipendentemente l’uno dall’altro (specialmente nell’ambito della premessa minore, le 2 valutazioni finiscono a coordinarsi a vicenda in una complessità in cui gli elementi di intuizione svolgono un ruolo importante e in cui l’operazione più schiettamente logica opera come controllo a posteriori).

B) Il 112 poi determina il condizionamento e la determinazione del dovere decisorio dalla domanda. Questa correlazione è espressione del principio della disponibilità della tutela giurisdizionale: questo principio ispira il 2907 C.C., quando enuncia che la tutela giurisdizionale dei diritti è prestata “su domanda di parte…”. Questo principio è poi è poi condizionato dalla disponibilità del diritto sostanziale, in quanto chiedere o meno quel diritto è un modo di disporre di esso. Il principio della disponibilità della tutela giurisdizionale, trova immediata correlazione in un altro principio, che si può considerare l’espressione in termini processuali dello stesso principio, anche se in un’ottica diversa: il 99 C.P.C., rubricato “principio della domanda”, per il quale “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente”. Da ciò si deduce in pratica che chi propone la domanda acquisisce in pratica una sorta di esclusiva su questo “diritto al processo” e quindi il dovere decisorio del giudice è vincolato dalla domanda.

C) Il 112 precisa oggetto e ambito del dovere decisorio in discorso, stabilendo che i limiti della decisione devono coincidere con i limiti della domanda. In pratica il soggetto con la sua domanda vincola e limita il giudice nell’oggetto del suo giudizio: si ha allora la “disponibilità dell’oggetto del processo” in capo a chi pone la domanda. Il vincolo del giudice si manifesta in primo luogo con riguardo al tipo di azione esercitata: di accertamento mero, di condanna oppure costitutiva. Se quindi è chiesta una condanna al giudice, ma lui fa sentenza di accertamento mero, incorre nel vizio di parziale omissione di pronuncia (vedi alla fine). In secondo luogo il vincolo va esaminato riguardo al contenuto del giudizio. Ora sappiamo che il giudizio (vedi prima) si articola in 2 momenti: bisogna verificare se il vincolo della domanda è per ambo i momenti, oppure per uno solo di essi. Per rispondere a ciò, occorre contrapporre la generalità della volontà astratta di legge alla specificità dei fatti costitutivi: da un lato la volontà astratta di legge non può costituire per se stessa oggetto di un’esclusiva, d’altra parte invece il vincolo si manifesta davvero sui fatti costitutivi, in quanto essi concretano la volontà della legge. Quindi per quanto concerne il diritto, il giudice è libero di applicare le norme di diritto che meglio ritiene adattabili al caso concreto (principio che viene dal 113 C.P.C.: esso enuncia che il giudice “deve seguire le norme del diritto” , nel senso di “tutte le norme del dir” e non quelle a cui si richiama la domanda. Si parla del brocardo “Juria novit Curia”). Un problema di conoscenza può sorgere riguardo al diritto straniero quando il giudice italiano debba applicarlo. La l. 218/1995 dispone che il giudice deve accettarlo d’ufficio, potendo chiedere informazioni al Ministero della Giustizia. Chiaramente il giudice potrà interpretare la norma, senza però andar mai oltre il limite del contenuto obiettivo della stessa. Si rilevi però che dopo aver interpretato la norma comunque nel senso più conforme alla Costituzione, il giudice può e deve (se c’è dubbio di costituzionalità) presentare alla Corte Costituzionale questione di legittimità. Se la questione riguarda il diritto UE, il giudice può (deve, se giudice di ultima istanza) rimettere la questione a Corte di Lussemburgo, la quale si pronuncerà solo sulla questione pregiudiziale. Infine, c’è da trovare l’essenza vera del 112. Essa si trova nel fatto che il potere di determinare l’ambito dell’oggetto del processo (in modo vincolante per il giudice), spetta a chi propone la domanda, ma solo con quella parte della domanda in cui il soggetto afferma o allega i fatti costitutivi e i fatti lesivi, escluso invece ogni rilievo a quella parte dell’atto in cui quei fatti sono riferiti alle norme giuridiche (il giudice allora deve giudicare solo sui fatti allegati o affermati nella domanda: iudex secundum alligata judicare debet).

Riguardo ad A) e B), c’è da dire che se il giudice non decide su tutta la domanda, può verificarsi una totale o parziale omissione di pronuncia, mentre se la decisione eccede i limiti della domanda, può verificarsi il vizio di ultrapetizione.

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