Ai sensi dell’art. 106 ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita . Il problema preliminare che pone l’art. 106 è l’individuazione del significato dell’espressione comunanza di causa:
- connessione per identità di oggetto (o petitum) o connessione per alternatività:
- chiamata in causa del terzo pretendente: il convenuto può contestare non l’esistenza oggettiva del suo obbligo, ma la titolarità attiva dell’attore (creditore), allo scopo di evitare il rischio di essere condannato a pagare due volte. Questo tipo di chiamata in causa può aversi sia da parte dell’attore che da parte del convenuto;
- chiamata in causa del terzo obbligato: il contenuto può difendersi contestando la titolarità passiva del rapporto ed indicando in un terzo il vero obbligato. In tal caso si può avere chiamata in causa solo da parte dell’attore;
- connessione per identità di titolo (o causa petendi) (es. creditore attore, a seguito della contestazione da parte del convenuto del fatto costitutivo comune del credito, chiama in causa gli altri condebitori);
- connessione per identità di oggetto e di titolo: questo è il settore dei rapporti di natura plurisoggettiva che non danno luogo a litisconsorzio necessario, ma a litisconsorzio unitario (es. condebitore solidale che chiama in causa gli altri condebitori per vedere accertata, anche nei loro confronti, l’esistenza del credito ed ottenere in tal modo una sentenza esperibile contro di loro in una futura azione di regresso);
- chiamata in causa di terzi titolari di diritti giuridicamente dipendenti da quello oggetto del processo originario (es. chiamata in causa del venditore ex art. 1485 per rendere a lui opponibile il giudicato sul rapporto pregiudiziale, privandolo di quella eccezione di cattiva gestione del processo).