Da tutto ciò si deduce che il delitto tentato non è un delitto imperfetto (se con ciò si intende che esso è costituito all’inizio di esecuzione d’un fatto criminoso, non portato a termine). Allo stesso tempo il delitto tentato non è un delitto “fermato a mezza strada”, perchè la rilevanza del comportamento del tentativo ex C.P. è fondata sui requisiti di idoneità e direzione non equivoca (ciò non ha nulla a che fare con la tipicità secondo lo schema della norma incriminatrice di parte speciale). E’ invece in piedi la contrapposizione tra delitto tentato e delitto realizzato. La domanda se il delitto tentato sia o no perfetto vuol dire quindi chiedersi se esso sia pienamente autonomo rispetto a un delitto realizzato ovvero rispetto a un delitto imperfetto. La struttura di esso appare autonoma, e Gallo constata che accanto a questa c’è anche l’autonomia sostanziale della pena comminata. Non deve ingannare il fatto che la pena del tentativo è posta in relazione alla pena del delitto consumato, in quanto è una tecnica rispondente ad esigenze di equità, per cui la sanzione del tentativo deve tener conto di quella che sarebbe stata la sanzione irrogabile per il delitto avuto di mira. E’ innegabile però che il delitto tentato è punito diversamente dal delitto consumato.
C’è però un’eccezione. Nel pensiero del legislatore (espresso nella relazione del Guardasigilli), delitto tentato e delitto consumato sono violazioni della stessa disposizione di legge, ossia momenti di realizzazione di un illecito che trova la sua unità nell’offesa, dalla messa in pericolo alla lesione di uno stesso interesse. Quindi l’autonomia del tentativo (presente in molte situazioni giuridiche) viene meno quando manca un’indicazione precisa alla stregua di cui si concluda che delitto tentato è visto come entità individua (diversa dal delitto consumato), oggetto di peculiare disciplina.