Nell’ambito delle fonti scritte, col passaggio all’attuale regime di costituzione rigida, è fortemente mutata l’incidenza del principio della riserva di legge (da autolimitazione a eterolimitazione). Tale incidenza varia a seconda:
- del valore relativo o assoluto della riserva.
- del tipo di contributo integratore da parte delle fonti sublegislative.
- del concetto di legge ai fini dell’art. 25 co. 2 Cost.
(1) Per la riserva relativa, il legislatore è tenuto a fissare le linee fondamentali della disciplina con facoltà di affidarne il completamento all’amministrazione. Per la riserva assoluta, invece, solo la legge può disciplinare la materia riservata.
Tale problema si pone anche in campo penale, dove, tuttavia, la dottrina appare attualmente concorde nel considerare la riserva in senso assoluto, dal momento che la ratio di garanzia, in caso contrario, sarebbe elusa. Accanto a posizione più rigorose, comunque, altre introducono limiti che, talora, hanno svuotato l’affermazione dell’assolutezza.
(2) Si opera una distinzione a seconda che il rinvio a fonti sublegislative sia:
- recettizio, che non contrasta con la riserva di legge, perché la legge richiamante, facendo proprio il contenuto della norma secondaria, ne opera una legificazione .
- formale, che pone problemi di compatibilità con la riserva di legge, perché la legge richiamante, rinviando non al contenuto ma alla fonte stessa della norma secondaria, ne recepisce il contenuto, anche futuro, quale che sia.
A questo proposito, tra le opposte tesi dell’assoluta esclusione e dell’eccessiva operosità, si è andato affermando un indirizzo intermedio, distinguendosi tra un triplice tipo di integrazione, a seconda che la legge penale:
- rimetta alle norme secondarie la mera specificazione di elementi di fattispecie già esaurientemente espressi dalle scelte valutative della legge penale (ipotesi conciliabile con la ratio della riserva di legge) (es. tabelle ministeriali individualizzatrici delle sostanze stupefacenti non autorizzate nella produzione).
- rimetta al regolamento la stessa facoltà di stabilire quali comportamenti, fra quelli che essa disciplinerà, dovranno dal medesimo essere sanzionati (ipotesi contraria alla ratio della riserva di legge).
- si limiti a qualificare come reato, prevedendone la sanzione, l’inosservanza di qualunque norma che l’amministrazione emanerà in certe materie (norme penali in bianco).
Tali norme in bianco costituiscono un’autonoma categoria di norme: se è incontestabile che esse siano munite di precetto, è altrettanto vero che si tratta di un precetto generico, il quale ha bisogno di essere integrato dal contenuto di atti normativi secondari. Proprio in rapporto a questa peculiarità, tuttavia, deve essere posto il problema della loro costituzionalità. Di fronte alle opposte tesi della legittimità e della illegittimità, comunque, come soluzione compromissoria, si richiede che il precetto amministrativo che integra la norma penale in bianco trovi a sua volta nella legge extrapenale determinazioni sufficienti, così da porsi come svolgimento di un disciplina già tracciata dalla legge.
Anche in materia di scriminanti la riserva non può non valere, pur se in termini simili a quelli sopraindicati per le norme incriminatrici, ovvero nel senso:
- dell’illegittimità della previsione, da parte di fonti secondarie, di nuovi tipi di scriminanti, in quanto deroghe alla norme penali possono essere prevista solo da fonti di grado almeno pari.
- della legittimità dell’integrazione delle scriminanti dell’art. 51 da parte di fonti secondarie, in quanto il diritto e il dovere scriminanti possono essere concretizzati, ad esempio, da una legge regionale oppure da un regolamento esecutivo conforme alla legge.
(3) Nell’art. 25 co. 2 Cost., il concetto di legge viene inteso in senso estensivo, ossia comprensivo:
- le leggi formali, ossia la (1) Costituzione, le (2) leggi costituzionali e gli (3) atti normativi emanati dal Parlamento. La dottrina e la giurisprudenza, al contrario, hanno escluso dalle fonti del diritto penale la legge regionale, e questo perché la funzione garantista ed egualitaria della riserva di legge, in materia penale, è meglio assicurata riservando al solo Parlamento la potestà di legiferare penalmente.
Le Regioni, quindi, pur nell’ambito delle materie di loro competenza, possono autotutelarsi solo con sanzioni amministrative. La tutela penale, infatti, può essere fornita solo da una legislazione penale ad hoc, la quale può essere:
- successiva alla legislazione regionale, munendo di sanzione penale leggi emanate in precedenza.
- preventiva alla legislazione regionale, configurando norme penali in bianco volte a sanzionare le infrazioni a leggi regionali.
Le leggi regionali, al contrario, possono essere fonti di scriminanti. Esse, tuttavia, non possono modificare il sistema disposto a livello statuale, ma solo concretizzare il contenuto delle scriminanti dell’art. 51.
- le leggi materiali, ossia i (1) decreti legislativi, i (2) decreti legge e i (3) decreti governativi in tempo di guerra. Tali atti, non pregiudicando la finalità garantista della riserva di legge, vengono fatti rientrare nell’art. 25 Cost., e questo:
- perché, rispetto ai decreti legislativi e ai decreti governativi in tempo di guerra, il Parlamento conserva, attraverso la delegazione, la prerogativa dell’iniziativa e delle fondamentali scelte politiche.
- perché i decreti legge sono provvedimenti provvisori, destinati entro breve termine ad essere convertiti in legge o a perdere efficacia ex tunc.
La prassi costituzionale, del resto, tende a affidare alla legge delegata la normativa più complessa, a cominciare dai codici, e questo per l’inidoneità del Parlamento a svolgere un’attività normativa tanto estesa e tecnica, sia per i lunghi tempi dell’iter parlamentare, sia per la crescente sciatteria del potere legislativo.
Restano comunque costituzionalmente censurabili certe tendenze ad affievolire la riserva di legge, sia da parte del Governo con i ricorsi al decreto legge fuori dai rigorosi e straordinari esterni di necessità e di urgenza, sia da parte del Parlamento con delegazioni del tutto generiche circa l’indicazione dei criteri direttivi.
Al contrario, non possono costituire fonti del diritto penale tutti gli altri atti normativi del potere esecutivo, e precisamente:
- i regolamenti, vietando la riserva assoluta di legge non solo all’esecutivo di emettere norme penali nell’esercizio del potere regolamentare, ma allo stesso legislatore ordinario di spogliarsi del potere legislativo penale per delegarlo al potere regolamentare.
- le ordinanze, sia quelle emesse in circostanze normali, sia quelle d’urgenza emesse nello stato di pericolo pubblico.
La riserva di legge, inoltre, pur implicando l’inammissibilità delle questioni di incostituzionalità in malam partem (sia che si ampli la portata applicativa della norma incriminatrice, sia che si aggravi il trattamento sanzionatorio), non preclude, al contrario, il controllo di incostituzionalità in bonam partem (sia che si elimini una norma incriminatrice, sia che si ampli la portata di una norma favorevole).
Circa il diritto internazionale, si è sempre ritenuto che esso non possa costituire fonte diretta di diritto penale, tuttavia, è necessario distinguere tra:
- il diritto internazionale pattizio, che entra nel diritto penale solo mediatamente, attraverso le necessarie leggi di ratifica e di attuazione.
- il diritto internazionale consuetudinario, che entra nel diritto penale direttamente, in forza dell’ ordine di esecuzione in bianco .
Và anche ricordato che il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 e l’art. 7 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo annoverano tra le fonti del diritto penale anche il diritto internazionale e i principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili .
Deve essere inoltre sottolineato che la riserva di legge non vieta al legislatore di emanare leggi personali o singolari, dirette cioè a singoli soggetti individualmente indicati, o, comunque, identificabili a priori. Le leggi singolari, infatti, non sono incompatibili con la funzione legislativa e possono essere ritenute ammissibili a patto che non violino il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e che siano fornite di una ragionevole giustificazione obiettiva.