Bisogna ora considerare quelle posizioni che intendono l’offesa come nozione di genere che comprenderebbe tanto l’effettiva lesione che la messa in pericolo dell’interesse tutelato della norma incriminatrice. Cioè è opinione comune che mentre alcune norme ipotizzano figure criminose il contenuto di cui è costituito dalla effettiva lesione di un certo interesse, altre delineano ipotesi di reato il cui evento giuridico coinciderebbe col puro esporre a pericolo di pregiudizio l’interesse stesso. Questa prospettiva muove dal fatto che l’interesse la cui violazione fornisce il contenuto del reato è il cosiddetto “interesse di categoria” (comune a tutto un gruppo di disposizioni incriminatrici). per Gallo però ciò è inutile se non venga inteso come criterio di raggruppamento di più reati, al massimo usabile in via di interpretazione sistematica. Se però si riconosce che non esista ad esempio un generico interesse di natura patrimoniale ma tanti interessi aventi questo carattere quanti sono vs il patrimonio, allora si deve concludere che ogni offesa penalmente rilevante è offesa di lesione. L’idea di messa in pericolo rinvia ad interessi extranormativi rispetto a cui la violazione dell’interesse protetto dal diritto è un momento anticipato. Ciò posto potrebbe obiettarsi che l’evento giuridico (nel suo significato di offesa all’interesse protetto) è rispetto al dolo ciò che è il tutto rispetto alla parte. Se ad esempio si esamina l’ipotesi di omicidio, la norma incriminatrice non tutela sempre l’interessa alla vita, ma l’interesse a che quest’ultima non sia distrutta con condotte volontarie. Quindi è esatto collegare l’offesa all’interesse tutelato al verificarsi di un fatto conforme sia agli elementi oggettivi che a quelli soggettivi del tipo descrittivo.
Ora si potrebbe dire che chi compie un’azione conforme a qualche figura criminosa, ma ignorando di andare vs una norma penale, non errerebbe sul valore del fatto posto in essere, ma agirebbe nella convinzione esatta di realizzare un fatto davvero lecito (mancando il requisito soggettivo in questione). Tuttavia ex 43 la legge si riferisce all’evento giuridico proprio perché questo è contrapposto al dolo: in questo senso l’offesa va intesa non nella sua essenza globale, ma nella sua dimensione oggettiva. Il dolo sarà puntualizzato quindi nei confronti dell’offesa perchè inerente a una figura tipica di reato, prescindendo dall’elemento soggettivo.
Cm si atteggia il dolo nei confronti dell’offesa. quest’ultima è un requisito del fatto posto in essere e risulta anche da elementi preesistenti alla condotta: non si potrà esigere quindi che l’agente debba volere il significato che essa imprime all’azione. Quello che si può domandare è la coscienza di realizzare un comportamento con certe caratteristiche offensive lasciando impregiudicata per ora la questione se sia sufficiente questo momento intellettivo o non occorra qualcos’altro. In ordine all’offesa si pone un’esigenza di tipicità: per questo il soggetto deve consapevolmente sapere di offendere con il proprio fatto quell’interesse alla cui tutela è predisposta la norma incriminatrice. Ora la rappresentazione relativa all’offesa cade però sui momenti di fatto e sul loro significato verso le situazioni di interessi garantite dalla legge, non concerne quindi essa il valore giuridico della qualifica discendente dalla norma incriminatrice: potranno quindi coesistere la consapevolezza di ledere quell’interesse oggetto di tutela e l’opinione, determinata dall’errore di diritto, di tenere un comportamento perfettamente lecito. Quindi non si nota la sostenibilità della tesi per cui rappresentare l’offesa vorrebbe dire richiedere la rappresentazione dell’antigiuridicità penale dimenticando il 5. C’è poi un rilievo frequente (x Gallo sopravvalutato): esso è quello per cui ravvisare nel dolo la coscienza di agire difformemente da come si dovrebbe, renderebbe inefficiente il meccanismo penale verso i cosiddetti “delinquenti di convenzione” (specie i politici). In essi c’è spesso consapevolezza di ledere interesse altrui: nel delinquente politico addirittura ciò diventa lo scopo in vista di cui questo agisce.
C’è poi una critica secondo cui, esistendo per molti reati grande discordia in dottrina e giurisprudenza sulla determinazione dell’interesse tutelato, a richiedere la rappresentazione dell’offesa a tale interesse si apre il varco a molte discussioni e incertezze. Addirittura si aggiunge nei reati contravvenzionali, che l’oggetto giuridico sarebbe inafferrabile: dire ciò però vorrebbe dire ammettere l’esistenza di reati che non offendono nessuno, quindi la presenza di norme che non hanno ragione di essere.
C’è poi un altro rilievo: esso fa capo alla presenza, nel sistema, di non poche incriminazioni volte alla tutela di molti interessi. Mentre da un lato esigere che l’autore di un reato cosiddetto “plurioffensivo” sia consapevole di arrecare un pregiudizio a tutti e ciascuno degli interessi protetti, porterebbe sempre a escludere il dolo, dall’altro non sembra ben motivata l’opinione secondo cui basterebbe rappresentare l’offesa ad almeno uno degli interessi in questione. Il dilemma però non esiste: di reato plurioffensivo si parla per indicare 2 tipi diversi di fattispecie criminose: il primo comprendente quei reati previsti da norme incriminatrici predisposte alla tutela di più interessi (ognuno svincolato dagli altri) si che l’illecito posto in essere può lederne uno solo, alcuni o tutti insieme. Mediante ciò l’ordinamento realizza una sorta di economia legislativa. Il secondo gruppo comprende le norme che tutelano interessi complessi tali che la lesione di uno per esser giuridicamente rilevante ad un certo titolo deve verificarsi accompagnata dalla necessaria offesa dell’altro o degli altri. Questi reato sono la maggior parte e l’oggetto della loro tutela è un interesse unico la cui struttura è costituita dalla fusione di più interessi semplici. In queste ipotesi l’agente dovrà possedere consapevolezza di tenere un comportamento lesivo dell’interesse così come modellato dalla norma.