Esso è l’interesse che la norma penale mira a tutelare da possibili offese. La dottrina dominante parte per da considerazioni di ordine generale: ogni norma giuridica reale è preordinata alla tutela di uno più interessi giuridici e non è possibile interpretare la regola giuridica senza tener presente l’interesse tutelato. Si parla di interesse tutelato e non di bene: sebbene una antica dottrina li ritenesse sinonimi, noi parliamo solo del primo perché l’ordinamento giuridico tutela un bene solo in relazione ai bisogni di un soggetto mentre il concetto di interesse implica quello di relazione tra un soggetto e un oggetto di valutazione e oltre a ciò perché l’interesse giuridico può cadere su un’utilità presente e futura (tutelare il bene è qualcosa di attuale e statico invece). Il termine interesse che poi accogliamo è quello di valutazione media del legislatore che continua a spiegare la sua efficacia anche se il soggetto rinuncia a tutelare il suo interesse. L’elaborazione del concetto di oggetto giuridico coincide con la nascita della scuola tecnico giuridica e in essa si distingueva tra: oggetto giuridico formale (consistente nel dir dello Stato all’obbedienza della norma da parte dei destinatari), oggetto giuridico sostanziale generico (consistente nell’interesse dello Stato a conservare le condizioni della propria esistenza), oggetto giuridico sostanziale specifico (ha 2 accezioni: interesse del soggetto passivo del reato tutelato dalla singola norma e interesse del soggetto passivo del reato tutelato da una categoria di norme). Contro il 1° Gallo dice che non esiste un dir soggettivo dello Stato all’osservanza delle singole norme. Riguardo la partizione dell’oggetto sostanziale e generico si è obiettato con critica rimasta decisiva che così si confonde l’interesse protetto con il comando sanzionato dalla pena. Questa distinzione pone cm oggetto ciò che è il motivo della protezione e di conseguenza si immagina fra l’oggetto della tutela giuridica ottenuta con la pena e quella che si serve delle altre sanzioni una differenza che non esiste perché ogni comando anche non penale potrebbe tutelare l’interesse alla sicurezza e tranquillità dello Stato. Rimane da considerare l’oggetto giuridico sostanziale specifico: esso per Gallo può esser identificato nell’interesse tutelato dalla singola norma penale e avente la struttura ricavabile dalla fattispecie astrattamente ipotizzata nella norma stessa. Potremo parlare di interesse giuridico protetto solo quando il comportamento che offende quell’interesse è giuridicamente sanzionato. Quindi l’interesse tutelato è quello alla cui offesa segue la sanzionabilità del comportamento che realizza l’offesa: quindi per definire la sua struttura concorre la considerazione degli elementi obiettivi del fatto ma anche gli elementi soggettivi la cui presenza condizione gli effetti giuridici della lesione dell’interesse. In base a ciò non corre differenza di sorta tra il concetto di interesse tutelato e quello di scopo o ratio della norma. Il finalismo di quest’ultima coincide necessariamente con la tutela di un interesse: quindi non si nega la funzione cosiddetta propulsiva del dir in genere (specie quella penale). Il problema è però un altro di carattere pre-normativo e concerne i limiti di accettabilità di un ordinamento volto a creare uno Stato, senza scivolare verso l’autoritarismo. Ora agli obblighi negativi (non fare) si aggiungono obblighi positivi (di fare) che ispirano comportamenti corrispondenti a modelli propri di chi detiene il potere normativo.
Ora così visto l’interesse tutelato sarebbe un doppione della fattispecie criminosa: ma ciò per Gallo è superabile. Innanzitutto esistono regole non spiegabili senza il concorso della nozione di interesse giur: esempio: il 50 che prevede la scriminante del consenso dell’avente diritto. In base a tale regola può disporre del diritto oggetto di un’offesa o messa in pericolo giuridico rilevante per un’opinione diffusa dominante che è legittimato al consenso il titolare dell’interesse la cui lesione o messa in pericolo è indispensabile perchè sussista reato. La norma si può interpretare solo chiedendosi quale sia il soggetto descritto dal 50. In secondo luogo le nozioni di interesse giuridico e tutela a questo interesse sono al centro della teoria del reato in quanto possono esistere comportamenti che corrispondono al tipo descrittivo di illecito e non punibili purchè non è offeso l’interesse tutelato. Se la tecnica legislativa fosse perfetta, il comportamento conforme allo schema descrittivo della norma incriminatrice sarebbe contemporaneamente effettiva lesione o messa in pericolo d’un interesse giuridico protetto. Di solito corrispondenza al tipo descrittivo e offesa all’interesse protetto coincidono ma in alcuni casi divergono (esempio: tizio stacca un acino d’uva da una vite non sua e se ne impossessa. Si dovrebbero allora ravvisare gli estremi di furto aggravato da violenza sulle cose, senonchè unanimemente questo comportamento è definito furto innocuo e quindi non punibile e quindi non dà luogo a reato. Ora i risultati qui raggiunti discendono da una regola che è principio generale in materia penale: il 49 2°: “la punibilità è altresì esclusa quando per inidoneità dell’azione o inesistenza dell’oggetto di essa (questo ultimo punto ora non interessa), è impossibile l’evento dannoso o pericoloso”. L’evento dannoso/pericoloso non può avverarsi perché c’è divergenza tra comportamento posto in essere al tipo descrittivo e realizzazione o messa in pericolo dell’interesse tutelato. Questo art non è vs la dottrina la ripetizione in negativo del 56 sul delitto tentato (“Chi compie atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica). Questo è assurdo sia perché non si capisce perché dettare una regola negativa prima di parlare degli elementi costitutivi del tentativo, e oltre a ciò il 56 esige che siano posti in esser atti idonei, il 49 parla di “azione” (che di solito è il fatto di reato completo di ogni elemento) inidonea”. Quindi vuol dire darsi un comportamento conforme al tipo descrittivo ma inidoneo all’offesa, mentre si ha tentativo anche prima della realizzazione di atti tipici.
Tipo descrittivo e offesa: accertamento. La corrispondenza al tipo descrittivo (profilo formale della fattispecie) va verificato dall’interprete e in ultima analisi dal giudice. Tutto (condotta, rapporto di causalità, evento ecc.)deve esser provato in una progressione che saldi ogni fase della verifica a quella precedente. Per il requisito sostanziale si attua invece una regola che miri a stabilire “come le cose sono davvero andate”: fare quindi della storia. Questa materia è dominata dall’id quod plerumque accidit: si parte dal principio e solo se si può concretamente desumere che le cose sono andate in via diversa ci si dovrà chiedere se ci sia eccezione alla regola.