Dottrina e giurisprudenza hanno sempre concordemente ritenuto che nel concorso debba esistere anche un elemento soggettivo, sulla determinazione del quale, tuttavia, permangono incertezze.
Per il principio costituzionale della responsabilità personale, occorre che al concorrente sia attribuibile psicologicamente non solo la condotta da lui materialmente posta in essere, ma anche l’intero reato, realizzato in concorso con gli altri soggetti. Secondo il nostro codice, comunque, è configurabile sia il concorso doloso nel reato doloso e il concorso colposo nel reato colposo, sia il concorso doloso nel reato colposo e il concorso colposo nel reato doloso.
Quanto alla struttura del dolo di concorso, non si discute sul fatto che non occorra il previo concerto , non essendo necessario che i soggetti si siano preventivamente accordati per commettere il reato. Altrettanto pacifico è che non vi può essere concorso nell’ipotesi opposta in cui più soggetti compiano un’analoga azione criminosa ai danni di un terzo, l’uno all’insaputa dell’altro. Si discute, invece, se sia necessaria la cosiddett volontà comune (o convolontà), ossia se occorra che tutti i concorrenti abbiano la reciproca coscienza e volontà di cooperare con altri, oppure se basti che uno solo abbia la coscienza e volontà della realizzazione comune del fatto (cosiddett concorso unilaterale). Per la dottrina prevalente, per aversi concorso non occorre la reciproca consapevolezza dell’altrui contributo, essendo sufficiente che tale consapevolezza esiste in uno solo dei concorrenti. Al contrario, la coscienza e la volontà di cooperare è necessaria in ogni singolo agente perché questo risponda a titolo di concorso.
Il concorso unilaterale, comunque, rende punibili condotte altrimenti non perseguibili:
- giustifica l’astensione della disciplina del concorso anche al cosiddett autore mediato.
- rende possibile configurare il cosiddett concorso doloso nel reato colposo, che si ha quando con una condotta atipica il soggetto concorre dolosamente nell’altrui fatto colposo, ossia strumentalizza l’altrui condotta colposa.
Circa l’oggetto, il dolo di concorso, consistendo nella coscienza e volontà di concorrere con altri alla realizzazione del reato di parte speciale, implica:
- la coscienza e volontà di realizzare un fatto di reato.
- la consapevolezza delle condotte a cui gli altri concorrenti sono tenuti.
- la coscienza e volontà di contribuire con la propria condotta, assieme alle altre, al verificarsi del reato stesso.
Dibattuta è la questione della responsabilità o meno dell’agente provocatore, ossia di colui che, istigando od offrendo l’occasione, provoca la commissione di reati al fine di coglierne gli autori in flagranza o, comunque, di farli scoprire e punire. Trattasi in genere di appartenenti alla polizia, ma talora anche di privati (es. per vendetta, per liberarsi di certe persone).
Tale questione va risolta nei termini in cui l’indubbio interesse alla maggiore incisività dell’azione di polizia si concilia con il fondamentale interesse a che, a tal fine, le forze dell’ordine (o i privati) non diventino esse stesse complici di reati. Attualmente, la dottrina più conciliante, ravvisando il criterio risolutivo sul piano del dolo, dispone che l’agente provocatore deve essere punito come concorrente se ha voluto davvero l’evento criminoso o, comunque, se ne ha accettato il rischio. Al contrario, tale agente va esente da pena per mancanza di dolo se ha agito con la precisa convinzione che il reato non si sarebbe consumato, non accettandone neppure il rischio.
Si discute, inoltre, se e quando, per effetto dell’opera dell’agente provocatore, l’attività dell’agente provocato debba considerarsi non punibile. Ciò, di fatto, è teoricamente possibile solo quando il fatto non integri neppure gli estremi del tentativo punibile.