Il 51 prevede come esimente accanto all’esercizio di un diritto l’adempimento di un dovere. Esso può discendere da una norma giuridica italiana ovvero da qualunque atto o fatto giuridico a cui una legge attribuisca l’efficacia costitutiva di un dovere. Tra questi atti giuridici assume rilevanza l’ordine legittimo della PA: infatti esso è l’unico degli atti intermedi menzionati dal 51; non sorgono problemi se l’obbligo è posto da norma di legge.

Conflitto di leggi, conflitto di doveri. Anche se la norma da luogo a sospetto di contrarietà a regola/principio Costituzione, l’obbligo da essa discendente deve ritenersi vincolante fino alla eventuale decisione di Corte Costituzionale. Ora ci sono però casi come ad esempio più leggi che si riferiscano allo stesso soggetto di comportamenti da realizzare con modalità cronologiche tra loro incompatibili (“conflitto di legge”), o ancora quando il soggetto destinatario dell’obbligo si trovi nella situazione di dover ottemperare all’obbligo stesso nello stesso tempo ma in luoghi diversi (“conflitto di doveri scaturenti dalla stessa legge”). In ambo i casi la soluzione dipende dalla prevalenza che a una legge deve conoscersi rispetto ad altra o altre concorrenti ovvero dalla necessità di conciliare concorso formale di più doveri dallo stesso contenuto col principio: ad impossibilia nemo tenetur (principio cogerente quando l’impossibilità nasce da una situazione di fatto e normativa autorizzata dall’ordinamento). Problemi più grandi sorgono quando il dovere trova la sua fonte immediata nell’atto amministrativo che è l’ordine legittimo della PUBBLICA AUTORITÀ I poteri di chi emana l’ordine devono esser disciplinati da regole di diritto pubblico e quindi non sarebbe scriminante l’adempimento di un dovere nascente da un rapporto di diritto privato. L’ordine deve esser legittimo: si distingue tra legittimità formale (essa esige la competenza di chi dà l’ordine di emanare un comando del tipo di quello impartito: ad esempio ordinamento di custodia) e legittimità sostanziale (essa concerne i presupposti di legittimazione della PUBBLICA AUTORITÀ, che dà l’ordine, ad emanarlo nel caso concreto: ad esempio per l’emissione di custodia cautelare il requisito di legittimità sostanziale sarà la presenza di gravi indizi di colpevolezza). Sono comunque requisiti che attengono alla competenza: solo che dal potere attribuito per una certa classe di provvedimenti, si passa all’accertamento delle condizioni cui, nel caso di specie, il potere è subordinato. Quindi non sembrerebbe aver fondamento la contrapposizione tra requisiti formali e sostanziali: tutto si può ricondurre alla specificazione di un requisito formale, ma la distinzione va mantenuta perchè segna il confine tra ciò che può e ciò che ordinariamente non può sindacare chi riceve l’ordine della PUBBLICA AUTORITÀ Il Codice Procedura Civile del 51 è chiaro: “Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato risponde il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine”. Dato che il superiore è responsabile secondo le regole generali, potrà accampare a propria discolpa sia l’errore sul fatto che costituisce reato ma anche quello su legge diversa dalla legge incriminatrice quando abbia cagionato un errore sul fatto costitutivo di reato. Il subordinato quindi potrà ad esempio far valere il solo errore sulla persona, per effetto di cui abbia ritenuto che chi gli impartiva l’ordine fosse proprio il superiore autorizzato a farlo, mentre non potrà giustificarsi motivando un’erronea interpretazione della legge che segna i limiti di competenza del superiore. In pratica si crea una disparità di trattamento tra la posizione di chi ha dato l’ordine rispetto a quella di chi lo ha eseguito: ciò è evidente e da luogo a una questione di legittimità cos per Gallo fondata, per cui sarebbe giusto che anche per il superiore si affermi la sola rilevanza dell’errore di fatto.

Il subordinato deve sempre accertare i requisiti formali: ma dopo l’introduzione del C.P., nel C.P. militare di pace all’art 40, è stato posto un principio di eccezionale importanza: “risponde del fatto anche il militare che ha eseguito l’ordine, quando l’esecuzione di questo costituisce manifestatamente reato”. Da ciò si è dedotta la conseguenza che la regola si imponga in ogni caso di adempimento di ordine la cui esecuzione costituisce manifestatamente reato. Nel 1978 questa disposizione è stata abrogata ma sostituita con la disp: “il militare a cui viene impartito un ordine verso le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestatamente reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine”. La cosa importante è che viene affermato il dovere di non eseguire l’ordine a contenuto eversivo o manifestatamente criminoso. Per i non militari non è necessario ricorrere a ciò perchè lo statuto degli impiegati civili dello Stato stabilisce al 17 3° che “l’impiegato non deve comunque eseguire l’ordine del superiore quando l’atto sia vietato dalla legge penale”. Questa disposizione non esige che l’atto sia manifestatamente reato ma stabilisce per i non militari un onere di sindacato più ampio di quello dei militari: quindi il civile risarcirà a seconda dei casi (a titolo di dolo intenzionale o diretto se è consapevole della antigiuridicità dell’atto, a titolo di dolo eventuale se avendo solo la rappresentazione della possibilità di porre in esser un reato neaccetta il rischio e lo esegue).

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