Tra i connotati più salienti della riforma c’è il perpetuarsi di un modello di incriminazione basato sulla costrizione della vittima. Si era fatta strada l’idea di costruire la fattispecie penale attorno alla mera mancanza di consenso della persona offesa.

Un sistema giuridico che porta avanti l’idea che l’attività sessuale sia strettamente inerente alla libertà della persona, e quindi deve essere tutelata come aspetto delicato dell’autonomia individuale, avrebbe dovuto accogliere una rimodulazione della tutela tale per cui chi ha manifestato la propria volontà contraria ad un atto di natura sessuale ha diritto ad essere tutelato a prescindere dall’atteggiamento personale tenuto di fronte all’agente.

Ma l’idea di polarizzare la tutela della libertà sessuale intorno al mero dissenso, è posta in discussione da altra autorevole dottrina.

Da un lato la legge di riforma ha decisamente optato per il mantenimento del modello di incriminazione più tradizionale, dall’altro la giurisprudenza è costante nell’interpretare i concetti di violenza e minaccia in termini così lati da attrarre nell’area dell’illecito penale condotte anche solo indirettamente costrittive. Il risultato è che, almeno a livello interpretativo, costringi mento e assenza di consenso si avvicinano.

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