La truffa comune consiste nel fatto di chiunque, con artifici o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno (art. 640). Tale reato, il più tipico delitto con la cooperazione della vittima carpita con la frode, rappresenta un reato plurioffensivo dell’interesse patrimoniale e della libertà di autodeterminazione:
- il soggetto attivo è chiunque (reato comune);
- il soggetto passivo è il titolare del rapporto giuridico inerente alla cosa o l’aspettativa di diritto costituente l’oggetto del singolo atto dispositivo.
Soggetto passivo può anche essere chi subisce la truffa in atti illeciti, che si ha quando il soggetto, nello stipulare un negozio giuridico, viene truffato mentre cerca di perseguire un fine illecito (negotium turpe) (es. persona che versa una somma per corrompere chi si fa credere pubblico ufficiale). Tale tipologia di truffa, sanzionata ai sensi dell’art. 640, deve essere distinta dalla truffa di cose acquistate mediante delitto, non sanzionata (es. truffa nei confronti del ladro): nella prima l’illiceità riguarda il risultato perseguito dall’ingannato, che viene spogliato di una cosa propria, mentre nella seconda riguarda la provenienza della cosa, per cui l’ingannato viene spogliato di una cosa che, di diritto, risulta essere altrui;
- circa l’elemento oggettivo, la condotta è l’induzione di taluno in errore, mediante artifici o raggiri, e, conseguentemente, a tenere determinati comportamenti, attivi o omissivi. In presenza dell’attuale formula legislativa di reato a forma vincolata, occorre sottolineare che per aversi truffa:
- occorre una condotta ingannatoriapositiva, concretantesi:
- in un artificio, ossia in un’alterazione della realtà esterna che crea una falsa apparenza materiale (es. apparenza di ricchezza);
- in un raggiro, ossia in una menzogna corredata da ragionamenti idonei a farla scambiare per verità;
- occorre una condotta ingannatoriapositiva, concretantesi:
- non necessita un’autentica messa in scena alternatrice della realtà esterna, potendo bastare una menzogna ingannatrice, purché sorretta da adeguata argomentazione;
- non bastano:
- il silenzio (es. silenzio sulla propria abilità per indurre altri a giocare);
- il silenzio violatore dell’obbligo giuridico di informare o del principio della buona fede (es. tacere sull’esistenza in vita del coniuge, dichiarato irreperibile in seguito ad eventi bellici, per continuare a riscuotere la pensione di vedova di guerra): l’equiparazione ex art. 40 co. 2 del non impedire al cagionare, infatti, non opera rispetto ai reati a condotta vincolata;
- lo sfruttamento del preesistente stato di errore (es. pagare come copia un quadro di autore, non ritenuto tale dal proprietario), richiedendo l’art. 640 l’induzione in errore;
- l’approfittamento dell’ignoranza altrui, mancando gli atti induttivi dell’errore (es. chi si serve di un mezzo pubblico di trasporto senza pagare il biglietto);
- la mera menzogna, non accompagnata da argomentazioni ingannatrici (es. dichiarare al controllore il già avvenuto controllo da parte del viaggiatore sprovvisto di biglietto ferroviario);
Il soggetto passivo della condotta, come si ricava dalla formula legislativa inducendo taluno in errore :
- deve essere una persona determinata, anche se gli artifici o i raggiri possono rivolgersi al pubblico (in incertam personam) (es. pubblicità fraudolente);
- può essere anche persona diversa dal soggetto passivo del reato, sempre che gli effetti dell’inganno si riversino sul danneggiato (es. commesso del negozio);
- può essere anche il giudice, come nel controverso esempio della truffa processuale, che si ha quando una delle parti in giudizio civile o la parte civile nel processo penale, inducendo in errore il giudice con artifici o raggiri, ottenga una decisione a lei favorevole e patrimonialmente dannosa per la controparte;
- circa l’elemento soggettivo, trattasi di reato a dolo generico, consistente questo nella coscienza e volontà di indurre, con artifici o raggiri, taluno in errore e di determinarlo in tal modo ad un atto di disposizione patrimoniale con altrui danno e ingiusto profitto;
- l’eventoè quadruplice, dato che la condotta deve essere causa di quatto progressivi effetti:
- dell’altrui stato di errore, consistente in una falsa rappresentazione della realtà e che può cadere indifferentemente sui vari elementi di cui all’art. 1429 c.c., sui motivi o su qualsiasi altro aspetto della realtà che abbia determinato la volontà del soggetto. Non si ha truffa, quindi:
- in caso di ignoranza pura, poiché l’induzione in errore non consiste nel lasciare nell’ignoranza ma nel generare erronei convincimenti;
- quando non vi è induzione in errore, essendo l’inganno noto al soggetto;
- in caso di dubbio circa la possibilità di essere truffati, sempre che si tratti di dubbio concreto, ossia sorretto da elementi specifici.
- dell’altrui stato di errore, consistente in una falsa rappresentazione della realtà e che può cadere indifferentemente sui vari elementi di cui all’art. 1429 c.c., sui motivi o su qualsiasi altro aspetto della realtà che abbia determinato la volontà del soggetto. Non si ha truffa, quindi:
La truffa, peraltro, si incentra non sull’idoneità ex ante del mezzo ingannatorio, ma sull’effetto dell’errore, ossia sull’idoneità ex post del mezzo ingannatorio usato;
- del compimento dell’atto di disposizione patrimoniale da parte del soggetto ingannato, requisito tacito ma parimenti essenziale, essendo la truffa un reato con la cooperazione della vittima. Il contenuto e l’oggetto di tale atto di disposizione sono gli stessi indicati a proposito dell’estorsione;
- del danno altrui, che deve essere procurato dall’atto dispositivo provocato dall’inganno (v. pag. 38);
- del profitto ingiusto, proprio o altrui, che deve derivare dall’atto dispositivo provocato dall’inganno;
- l’oggetto giuridico patrimoniale è il rapporto giuridico inerente alla cosa, reale o di obbligazione, o l’aspettativa di diritto costituente oggetto del singolo atto dispositivo;
- la perfezione si ha nel momento e nel luogo in cui si verifica, per la vittima, il danno patrimoniale e, per l’agente o altri, l’ingiusto profitto, qualora i due eventi siano contestuali, o in cui si verifica l’evento ultimo, se tali eventi sono successivo. La consumazione, invece, si ha quando il delitto perfetto raggiunge la sua massima gravità concreta.
Costituendo la truffa reato di evento, è configurabile sia il tentativo incompiuto (es. falsa denuncia di sinistro stradale non pervenuta alla compagnia assicurativa) sia il tentativo compiuto (es. falsa denuncia di sinistro stradale pervenuta alla compagnia che non provvede al pagamento avendo scoperto l’errore).
La truffa è aggravata (art. 640 co. 2):
- se il fatto è commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico (es. assenteismo retribuito del dipendente pubblico) o col pretesto di fare esonerare taluno dal servizio militare.
Tale seconda ipotesi, la cui ratio va ravvisata nel discredito lanciato sulla pubblica amministrazione, facendola ritenere corruttibile in tale delicata funzione, richiede:
- che si tratti di pretesto , dovendo il raggiro consistere nel fare falsamente credere alla vittima di potersi efficacemente adoperare per ottenere l’esonero. Al contrario, se l’agente agisce con tale effettivo proposito e si attiva in questo senso, trovano applicazione le norme speciale sulle illegittime esonerazioni dal servizio militare o il reato di corruzione;
- che il pretesto riguardi l’esonero, ossia la dispensa e non un semplice ritardo o rinvio alla chiamata alle armi;
- che i raggiri non debbono consistere nel vantare pretese aderenze in ambienti militari o influenti, perché in tal caso sussiste il reato di millantato credito;
- se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità.
La prima ipotesi, la cui ratio va ravvisata nella particolare gravità ed efficacia del raggiro impiegato, pone problemi di differenziazione con l’estorsione. La differenza deve essere individuata tenendo presente:
- che estorsione e truffa sono entrambe delitti con la cooperazione della vittima, che, nella prima, deve essere carpita con la minaccia e, nella seconda, con l’inganno;
- che sia l’estorsione sia la truffa aggravata presuppongo il timore del pericolo di un male e che, pertanto, tale timore deve derivare, nell’estorsione, da una minaccia e, nella truffa, da un inganno;
- che deve ravvisarsi estorsione in tutti i casi in cui vi sia la minaccia di un male, non importa se reale o immaginario (es. malocchio minacciato dalla fattucchiera), mentre deve ravvisarsi truffa aggravata soltanto nei casi in cui il timore di un pericolo immaginario sia ingenerato da un inganno (es. chi si fa cedere una cosa di valore ad un prezzo irrisorio facendo credere al proprietario che si tratti di cose che di cui è vietato il possesso).
Anche la seconda ipotesi aggravante si differenzia dall’estorsione, in considerazione del fatto che si ha estorsione se il preteso e falso ordine dell’autorità sia fatto apparire dall’agente come promanante da lui (es. ordine di confisca di certe cose dato dal falso pubblico ufficiale, con minaccia di arresto in caso contrario), mentre si ha truffa aggravata se tale preteso ordine viene fatto apparire dall’agente come non promanante da lui (es. esibizione da parte dell’agente di un falso ordine di confisca emesso dall’autorità superiore);
- se il fatto è commesso da persona sottoposta a misure di prevenzione definitiva (d.l. n. 152 del 1991).
Trattamento sanzionatorio: la truffa è punita:
- a querela di parte (co. 3), con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa da € 51 a 1032;
- di ufficio, nelle ipotesi aggravate dell’art. 640 co. 2, con la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da € 309 a 1549, e, nell’ipotesi aggravata di cui al co. 3, con l’ulteriore aumento della pena da 1/3 a 1/2.