Nel codice del 1930 i delitti sessuali erano collocati nel titolo IX del libro II, “i delitti contro la moralità pubblica e il buon costume”. Si scioglie quindi l’antico binomio buon costume – ordine delle famiglie.

Il titolo IX è diviso in soli 3 capi e ha un numero ridotto di fattispecie:

1° capo = “delitti contro la libertà sessuale”. Suddiviso poi in:

  • Violenza carnale, atti di libidine violenta (artt. 519 – 521)
  • Delitti di ratto (522 – 525)
  • Delitti di seduzione con promessa di matrimonio (art. 526).

2° capo = “offese al pudore e all’onore sessuale” (artt. 527 – 538).

3° capo = varie disposizioni comuni ai capi precedenti.

Il titolo IX, ancora prima della L. n. 66/96, ha subito notevoli potature, ha infatti da molto tempo perso tutte le norme sui reati in materia di prostituzione. La L. 20 febbraio 1958 n. 75 ha abolito le case di tolleranza e ha introdotto nuove figure di reato in materia di prostituzione sottraendole alla discipline del codice penale.

La L. n. 66/1996 ha abrogato norme sui delitti di violenza sessuale e corruzione di minorenni configurando nuove fattispecie e collocandole nel titolo dei delitti contro la persona.

Di certo la collocazione del legislatore del 1930 presenta una maggiore omogeneità rispetto a quello del 1889. Tuttavia è inevitabile ricomprendere insieme fattispecie tra loro eterogenee, quando si assumono a beni giuridici di categoria valori quali la moralità pubblica e il buon costume.

In realtà il legislatore del 1930 introduce la libertà sessuale volendo quasi richiamare l’attenzione sulla tutela della persona e del suo diritto a determinarsi liberamente nella sfera sessuale. Tuttavia il Manzini si ostina a fare una lettura identica a quella del vecchio codice: oggetto della tutela penale resta sempre l’interesse dello stato di assicurare i beni giuridici della moralità pubblica e del buon costume. La tesi di Manzini è largamente condivisa (da Antolisei e Maggiore ad esempio). Il bene protetto continua ad essere individuato nell’interesse pubblico alla tutela della inviolabilità carnale o della libertà sessuale e non direttamente in questi beni.

Ancora parecchio tempo doveva passare prima che i delitti sessuali venissero interpretati come offese alla persona in uno dei suoi fondamentali diritti.

Il codice del 1930 riproduce la distinzione tra violenza carnale e atti di libidine. La condotta costituiva il reato è la violenza o minaccia, non basta il mero dissenso. Si sono riproposti gli stessi problemi del 1889:

–          Concetto di congiunzione carnale = diffusa la tesi che dovesse essere qualsiasi penetrazione, anche parziale, anale, vaginale e orale. Non tutti condividevano tale impostazione. Per alcuni la congiunzione carnale era il solo coito tra uomo e donna. Per altri era invece il coito vaginale e anche quello anale, escludendo quello orale. Si ponevano così conseguentemente altri quesiti: se il soggetto passivo fosse solo la donna, oppure se i soggetti dovessero essere diversi.

–          Concetto di atti di libidine = si otteneva escludendo ciò che era congiunzione carnale. Prevale poi la tesi secondo cui l’atto deve essere qualificato secondo la sua natura e non secondo l’intenzione dell’agente. La differenza tra i due reati risiede appunto nella natura degli atti e non nella volontà dell’agente. Discussioni interminabili sono nate intorno al bacio, che può essere atto di libidine ma anche espressione di rispetto, agli abbracci e alle carezza. Dottrina e giurisprudenza prevalente ritengono che bisogna tener conto delle circostanze in cui gli stessi vengono posti in essere.

–          Tentativo di congiunzione carnale = atti diretti alla congiunzione diversi dagli atti in sé libidinosi.

Si venivano così a configurare quattro distinte fattispecie (violenza carnale consumata, tentata, atti di libidine violenti consumati, e tentati) con conseguenze sanzionatorie diverse. Ciò comportava nei processi indagini meticolose e puntigliose spesso umilianti per il soggetto passivo. Le associazioni femministe hanno infatti spesso denunciato che il processo per stupro si risolve in una nuova violenza per la vittima, acuita dall’eccessiva frantumazione della violenza sessuale in una pluralità di ipotesi. Da qui è partita la richiesta di abolire le tradizionali distinzioni tra violenza carnale e atti di libidine violenti.

Lascia un commento