Nella metà degli anni 70 invita a vedere l’istituto della pena come riflesso delle forme dominanti del potere sociale e politico (il potere di minacciare, costringere, sopprimere, distruggere) prevalente in ciascuna epoca e che tutti gli obiettivi dichiarati dalla pena, dalle norme procedurali e dall’aspirazione alla giustizia, sono tutti posti per mascherare altre intenzioni dei riformatori.

Foucault sfida la stessa idea base di ogni forma di giustificazione della pena, dichiarando che i passaggi teorici della sua giustificazione sono legati sempre ad assunzioni,credenze, ideologie, che non hanno un fondamento razionale indipendente, cosicché reputa di sé ingannevole l’idea che le istituzioni penali possano essere giustificate

 Le sue idee antigiustificazionaliste hanno messo in crisi il se e il come indirizzare il compito di giustificare la pena, specie quando afferma che “la pena è palesemente sovraccarica di utilità di ogni genere e sopravvive ora in base all’una ora in base all’altra interpretazione dei suoi scopi, perché il desiderio di castigare altre persone è profondamente radicato nella natura umana”.

Si sente quindi la necessità di trovare una nuova giustificazione della pena, che si avvicini ad una prospettiva liberale e ai principi delle democrazie costituzionali.

Fermo restando eventuali critiche di legittimità sui singoli atti punitivi individuali, la giustificazione dell’istituto della pena è basato su argomenti finalistici o utilitaristici che necessitano di limiti, ma anche su argomenti deontologici o retributivi; in una teoria liberale della pena sono anche incluse concezioni riguardo la meritevolezza retributiva con accurate delimitazioni.

Si dovrà quindi individuare il fine a cui tende la pena, anche se la sua realizzazione è giustificata in sé; si deve dimostrare che questi obiettivi sono realizzati con l’applicazione della pena (e in determinati modi e non in altri) e che non possono realizzarsi, con pari o maggiore efficienza e correttezza, senza punire o con interventi non punitivi.

Considerazioni iniziali: ci sono delle condotte dannose e intenzionali per gli altri riguardo cui sarebbe improprio attendersi dalla generalità delle persone offese che perdonino gli autori o che soffrano in silenzio; del pari è da escludere la ritorsione privata a cui deve essere sostituita la garanzia che gli offensori saranno giudicati e condannati e che la sanzione sarà eseguita dall’autorità preposta dallo stato. La condotta dannosa è illegale, ed è preferibile prevenirla piuttosto che punirla successivamente.

La osservanza della legge sotto minaccia della pena è da preferire all’inosservanza seguita dal processo penale, dalla condanna e dalla espiazione della pena.

La osservanza volontaria come conseguenza dell’interiorizzazione delle norme di una società giusta è preferibile all’osservanza involontaria e coattiva o alla inosservanza intenzionale.

Ma se l’osservanza volontaria non è possibile, la società, quale estrema ratio, deve garantire l’osservanza coattiva perché è preferibile all’inosservanza.

Per la sua funzione general-preventiva negativa (di deterrenza, propria della teoria utilitaristica) la pena dovrà essere percepita come una minaccia legittima e credibile, per poter essere generalmente sentita come ragionevolmente severa ed efficacemente applicata a chiunque non osservi la legge.

Alla pena giusta (che è il prius) deve seguire la pena certa. Qui la applicazione della pena ha lo stesso scopo della sua previsione, in cui quindi la giustificazione delle pena è volta alla prevenzione della lesione dei diritti individuali.

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