Consistono nel fatto di chiunque […] mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali (art. 609 bis co. 1). Lo scopo meritorio di questa nuova ipotesi criminosa è di tutelare soprattutto la donna contro gli abusi sessuali di soggetti in posizione di supremazia, a cominciare dai rapporti di famiglia e di lavoro. Tale ipotesi, tuttavia, data la sua non ineccepibile e generica formulazione, si presenta di dubbia utilità, di incerta interpretazione e, comunque, di dubbia capacità di tradurre tali esigenze di tutela in corretti termini giuridici.
Rinviando alla precedente ipotesi di violenza sessuale per gli elementi con questa comuni (es. costrizione, atti sessuali), occorre soffermarsi sugli elementi differenziali:
- il soggetto attivo è colui che ricopre una posizione di autorità (reato proprio);
- il soggetto passivo è la persona soggetta all’altrui autorità;
- il mezzo consiste nell’abuso di autorità. Il concetto di autorità sta ad indicare l’insieme dei poteri, conferiti dalla legge ad un soggetto, che lo pongono in una posizione giuridica di preminenza dei confronti di un altro soggetto. Tale concetto comprende non solo la pubblica autorità (es. pubblici ufficiali), ma anche l’autorità privata (es. parentale, tutoria), nonché l’autorità dei datori di lavoro o dei superiori nell’ambito del rapporto lavorativo.
L’inusuale espressione di abuso di autorità:
- deve essere distinta da quella di abuso di qualità (strumentalizzazione della propria qualifica senza esercizio di poteri distorti), riferendosi, al contrario, a quella di abuso di poteri, consistente nell’uso distorto delle proprie attribuzioni. Dal reato in questione devono quindi essere escluse le ipotesi di assenza di qualunque abuso, non bastando rapporti sessuali tra superiori ed inferiori, perché altrimenti ogni consensuale relazione sentimentale, ad esempio, tra datore di lavoro e lavoratrice dovrebbe dirsi posta in essere con abuso di autorità;
- deve essere definito in rapporto alla costrizione, rilevando qui il solo abuso coattivo dell’atto sessuale. A questo punto, tuttavia, si pone un’alternativa:
- o in forza di tale costrizione va coerentemente affermato che l’abuso deve qui concretarsi in una violenza o minaccia. In questo modo, tuttavia, la presente ipotesi risulterebbe inutile, bastando quella della violenza o della minaccia, aggravata ai sensi dell’art. 61;
- o deve ritenersi che si tratti di abuso senza violenza o minaccia, ma allora occorre riconoscere che si è usato il termine della costrizione al posto di quello di induzione, in contrasto tra l’altro col corretto linguaggio tecnico abitualmente usato dal codice.
Il rimedio a tale confusione legislativa viene data dalla cosiddetta interpretazione ortopedica: si adotta la seconda delle suddette interpretazioni, perché, pur se scavalcando i cadaveri della costrizione e della violenza sessuale in rubrica, permette sia di salvaguardare l’autonomia concettuale del reato proprio sia di punire certi abusi non meritevoli di incremento;
- circa l’elemento soggettivo, trattasi di reato a dolo generico, richiedendo tale reato soltanto la coscienza e volontà di costringere altri, mediante abuso di autorità, a compiere o subire atti sessuali.
Trattamento sanzionatorio: il reato è punito a querela con la reclusione da 5 a 10 anni