Le norme che disciplinano tali crimini danno luogo ad una responsabilità propria delle persone fisiche che li commettono. La comunità internazionale sta attualmente tentando di attuare la punizione dei crimini internazionali individuali attraverso l’istituzione di tribunali internazionali (es. due Tribunali per i crimini commessi nella ex Jugoslavia e nel Ruanda). La punizione, tuttavia, è ancora in larga parte affidata ai tribunali interni, nell’esercizio della sovranità territoriale.
I crimini internazionali individuali possono essere distinti, secondo una ripartizione che risale all’Accordo di Londra del 1945 in crimini contro la pace, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Un elenco dettagliato, riscontrabile nella prassi sia di Corti interne che di Corti internazionali è attualmente contenuto nello Statuto della Corte penale internazionale, il quale prevede quattro tipi di crimini:
- il genocidio (art. 6), considerato a parte e riconducibile all’interno dei crimini contro l’umanità. Si intende come genocidio la distruzione totale o parziale di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso;
- i crimini contro l’umanità (art. 7), ai quali vengono riportati numerosi atti, purché perpetrati come parte di un esteso o sistematico attacco diretto contro una popolazione civile (es. omicidio, sterminio, riduzione in schiavitù);
- i crimini di guerra (art. 8), tra i quali viene ricondotta tutta una serie di atti specifici del tempo di guerra (es. presa di ostaggi, attacchi contro obiettivi civili);
- il crimine di aggressione (art. 5) (crimini contro la pace), a detta di Cassese qualificabile come crimine internazionale solo quando scatenato su larga scala.
Normalmente l’individuo che commette un crimine internazionale è organo del proprio Stato o di un’entità di tipo statale (es. governo insurrezionale): soltanto gli Stati o tali entità, infatti, sono normalmente in grado di produrre attacchi estesi o sistematici contro una popolazione civile (eccezione: Al Qaeda). Quando viene commesso un crimine contro l’umanità, quindi, ne consegue una duplice responsabilità internazionale, dello Stato e dell’individuo organo.
Occorre adesso chiedersi in che cosa la punizione dell’individuo che ha commesso un crimine internazionale differisca dalla punizione di un criminale comune quando a punirlo è comunque una Corte interna. Al riguardo, il principio che va affermandosi è quello dell’universalità della giurisdizione penale, secondo il quale ogni Stato può procedere alla punizione ovunque il crimine sia commesso. Tale principio comporta una serie di conseguenze:
- per il diritto internazionale generale lo Stato, mentre è sempre libero di esercitare la giurisdizione sui suoi cittadini, può sottoporre lo straniero a giudizio penale solo se sussiste, e nei limiti in cui sussiste, un collegamento con lo Stato medesimo. Tale collegamento viene dato in linea generale dal principio di territorialità, variamente temperato dalla possibilità di punire certi reati più gravi quando essi sono commessi dal cittadino all’estero. Quando si tratta di un crimine internazionale, tuttavia, la necessità del collegamento viene meno;
- lo Stato, qualora intenda punire dei crimini internazionali, risulta essere legittimato anche a catturare il colpevole all’estero illegittimamente, ossia violandosi la sovranità territoriale dello Stato in cui si trova;
- lo Stato può escludere la prescrizione dei crimini internazionali che intende punire;
- lo Stato può limitarsi a concedere l’estradizione ad uno Stato che intende farlo.
Per il diritto consuetudinario lo Stato può ma non deve compiere le attività di cui abbiamo appena parlato. La situazione, al contrario, è diversa per quanto riguarda il diritto pattizio, numerose essendo le convenzioni (es. Convenzione sulla repressione del terrorismo) che contengono la regola di estradare o giudicare (aut dedere aut iudicare). Il principio dell’universalità della giurisdizione, comunque, non consente di giudicare il criminale internazionale anche se questo non è fisicamente presente nel territorio dello Stato: il principio aut dedere aut iudicare, infatti, muove chiaramente dal presupposto che non si giudichi in contumacia.