Il principio di autodeterminazione è oggi una regola di diritto internazionale positivo.
Esso non solo è contenuto in testi convenzionali ad esempio nei patti delle Nazioni Unite sui diritti umani ma ha acquistato carattere consuetudinario attraverso una prassi che si è sviluppata ad opera delle Nazioni Unite e che trova la sua base sia nella stessa Carta dell’ONU sia in certe solenni Dichiarazioni di principi dell’Assemblea generale dell’Organizzazione.
Il principio di autodeterminazione dei popoli ha acquistato efficacia normativa soltanto a seguito dei tragici eventi della seconda guerra mondiale, assistendo ad uno sviluppo del principio di autodeterminazione ed alla sua consacrazione come regola di diritto internazionale positivo conla Cartadelle Nazioni Unite.
Dall’esame degli articoli gli Stati delle Nazioni Unite si impegnavano ad attuarlo agendo collettivamente o individualmente in cooperazione con l’ONU. In questo caso l’autodeterminazione viene concepita non come un fine delle Nazione Unite ma come uno strumento per assicurare il fine ultime della pace e della sicurezza internazionale. Ne deriva pertanto che qualora l’applicazione di tale principio sia causa di tensioni e conflitti tra gli Stati ad essa si deve immediatamente rinunciare.
All’inizio il principio di autodeterminazione accolto dalla Carta ONU era inteso in senso negativo consentendo agli imperi coloniali di mantenere saldo il loro potere. Questo perché era inteso come un obbligo gravante su tutti gli Stati di non interferire con minacce o azioni coercitive sulle libere scelte operante nell’ambito di Stati stranieri, finendo cosi per coincidere con il principio della non ingerenza negli affari interni di altri Stati.
Soltanto verso la fine degli anni 50, il principio di autodeterminazione cominciò ad essere inteso in senso positivo, ossia come l’obbligo incombente su di un Governo che occupa un territorio non suo, di lasciare che il popolo possa determinare il proprio destino. Riconoscendo in questo modo ai popoli sottoposti ad un Governo straniero il diritto di acquistare la propria indipendenza e di scegliere liberamente il proprio regime politico. Secondo la dottrina maggioritaria (Conforti) il principio di autodeterminazione ha ancora oggi un campo d’applicazione piuttosto ristretto, esso infatti si applica tradizionalmente ai popoli sottoposti ad un governo straniero (autodeterminazione esterna), ossia ai popoli soggetti a dominazione coloniale, ad un regime razzista e alle popolazioni di territori occupati con la forza. Affinché il principio di autodeterminazione cosi inteso sia applicabile occorre che la dominazione straniera non risalga oltre l’epoca successiva alla fine della seconda guerra mondiale.
I destinatari dell’obbligo di rispettare l’autodeterminazione sono gli Stati mentre i detentori reali del diritto di autodeterminazione sono i popoli i quali a seguito della seconda guerra mondiale sono divenuti i materiali beneficiari delle disposizioni internazionali concernenti l’autodeterminazione. E’ irrilevante la circostanza che il popolo che esercita il proprio diritto di autodeterminazione sia o meno organizzato in un movimento di liberazione nazionale, in quanto il beneficiario del principio dell’autodeterminazione è sempre solo il popolo nel suo complesso e non quindi i movimenti di liberazione nazionale.
Gli Stati pertanto hanno l’obbligo di non ostacolare i processi di autodeterminazione anche in assenza di movimenti di liberazione nazionali. Per quanto riguarda le modalità di esercizio dell’autodeterminazione si rileva seconda la prassi delle Nazioni Unite l’obbligo di consultare il popolo colonizzato sottoposto a dominazione straniera, anche attraverso l’utilizzo di modalità di consultazione popolare, referendum, voto o sondaggi. L’ONU inoltre giustifica l’uso della forza da parte dei movimenti di liberazione allo scopo di conseguire un obiettivo pienamente approvato dalla Comunità internazionale, purché l’uso della forza armata sia come conseguenza alla negazione con la forza del diritto all’autodeterminazione da parte del Governo oppressore.
In sostanza il diritto all’autodeterminazione non mira soltanto a rendere illecito l’uso della forza da parte del Governo oppressore e degli Stati terzi che collaborino all’attività repressiva di quest’ultimo, ma anche di non vietare le lotte condotte dal popolo oppresso, ammettendo persino l’assistenza da parte degli Stati estranei al conflitto.
Tuttavia se unanime è il consenso dei membri della Comunità internazionale nell’affermare la liceità dell’intervento di terzi Stati a favore dei popoli oppressi, diverse sono le opinioni sulla natura dell’aiuto che essi sono legittimati a fornire. Infatti l’opinione sostenuta dagli Stati afroasiatici, socialisti e dell’America Latina circa la liceità di aiuti non solo di carattere umano, politico ed economico ma anche militare è stata sempre contestata dagli Stati occidentali.
Tuttavia nonostante l’idea dell’intervento armato diretto non abbia ancora ottenuto una qualche forma di legittimazione da parte della Comunità internazionale, nel corso degli ultimi decenni molti Stati hanno gradualmente finito per accettare la legittimità dell’intervento armato a favore dei popoli in lotta.
Il Governo non rispettoso dell’autodeterminazione viola non solo una norma di diritto internazionale generale ma anche un principio fondamentale del diritto internazionale, la cui posizione potrebbe aggravarsi nel caso in cui questo impieghi addirittura la forza contribuendo a determinare una situazione di tensione che minaccia il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Danneggiando cosi un interesse fondamentale della Comunità degli Stati.
In questo caso le risoluzioni delle Nazioni Unite hanno costantemente condannato l’intervento diretto a favore del Governo oppressore, chiedendo agli Stati l’immediata cessazione di ogni forma di collaborazione militare con il Governo al potere in quanto tale forma di collaborazione non può ritenersi legittima. Al contrario è invece lecito sostenere l’intervento armato di un Governo, quando all’interno dello Stato si combatte un movimento insurrezionale privo di organizzazione indipendente.