L’evoluzione del diritto internazionale dai trattati di Westphalia al diritto internazionale contemporaneo passa attraverso la concezione positivista del diritto internazionale (secondo Triepel qualunque fatto giuridicamente rilevante doveva trovare fondamento in una specifica manifestazione di volontà collettiva degli Stati) sino alle teorie di Kelsen (per cui oggetto del diritto è solo la norma giuridica in quanto assistita dall’elemento della coazione in base all’adattamento della dottrina pura del diritto al diritto internazionale). Solo con la dottrina istituzionale di Santi Romano si approda all’idea della pluralità degli ordinamenti giuridici e dunque si considera il diritto internazionale come un ordinamento che esprime non solo le forze sociali che lo sostengono ma che ha anche la capacità di regolare in modo autonomo. L’autonomia ordinatorio del diritto interno sia è possibile perché sono gli Stati stessi a strutturarsi in una “società internazionale” che regge, in modo indipendente dalla volontà dei singoli Stati, i vincoli normativi che ne discendono. In quest’ottica va considerato il rilievo del principio di affettività nell’ordinamento internazionale contemporaneo, nonché la garanzia della sovranità territoriale erga omnes, per cui l’atto di aggressione rende illegittimo l’acquisto del territorio ad opera dello Stato aggressore (si pensi all’aggressione dell’ Iraq ai danni del Kwait).
In modo speculare, nel principio di promozione dei valori l’autonomia ordinatorio del diritto internazionale mira ad indirizzare la prassi sociale in funzione di determinati obiettivi solidali e gli Stati sono tenuti non solo a rispettare, ma anche a far rispettare. Emblematica è l’affermazione nel 1960 del diritto all’autodeterminazione dei popoli ad opera dell’assemblea Generale delle Nazioni Unite, con specifico riferimento a quanti fossero sottoposti al dominio coloniale.