In linea di principio spetta comunque allo stato definire le competenze dei propri organi e soprattutto individuare gli organi che detengono il cosiddetto potere estero, cioè che siano idonei ad esprimere una manifestazione di volontĂ dello Stato internazionalmente rilevante. Tendenzialmente la gestione del potere estero (sia nei rapporti diplomatici che nel mantenimento degli obblighi internazionali) è affidata alla sfera governativa; solo nei paesi con maggiori tradizioni parlamentari, come l’Italia, si configurano forme di indirizzo o controllo del potere da parte del Parlamento (anche costituzionalmente garantite).
Nella nostra costituzione la norma primaria di riferimento per la gestione del potere estero è l’articolo 87 comma otto (il presidente della Repubblica ratifica i trattati internazionali previa, quando occorra, l’autorizzazione delle camere) che, in combinato disposto con l’articolo 89 (secondo cui nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilitĂ ) individua la funzione di rappresentanza unitaria riconosciuta al capo dello Stato.
In Italia il controllo del potere da parte del Parlamento e costituzionalmente garantito ex articolo 80 che richiede la previa autorizzazione da parte del Parlamento per la ratifica dei trattati di natura politica, giudiziaria, finanziaria (anche se nella prassi talvolta la disposizione viene aggirata attraverso la conclusione dei cosiddetti trattati in forma semplificata, ratificati ugualmente anche senza la previa autorizzazione parlamentare, sostituita da un’approvazione successiva dell’iniziativa governativa).
A differenza di altri paesi come la Scandinavia o la Gran Bretagna non c’è una prassi per la quale il Parlamento si attiva per una propria attivitĂ d’inchiesta su questioni di politica internazionale; inoltre la nostra costituzione esclude l’articolo 75 il referendum abrogativo (quindi una partecipazione diretta del popolo ) per le leggi di autorizzazione alla ratifica. Infine anche la corte costituzionale resta formalmente estranea al circuito decisionale sulle scelte di politica estera.