Sono comportamenti che l’imprenditore può porre in essere e che sono valutate dal pdv del consumatore. La differenza disciplina sulla concorrenza sleale tra imprenditore e pratiche commerciali sleali è che non si parla di rapporto tra imprenditori, ma tra imprenditore e consumatore questo cambio di prospettiva si è evidenziato negli ultimi 30 anni. Nel ’42 il consumatore rimaneva sullo sfondo, poteva usufruire indirettamente dai benefici risultanti della sanzionabilità di un imprenditore ma non poteva agire direttamente. Oggi invece il consumatore può agire per valere un comportamento sleale dall’imprenditore. D. lgs 146/2007 ha introdotto una disciplina, collocandola negli art 18-27 del codice del consumo. Sono pratiche commerciali scorrette che hanno azione diretta al consumatore, sono comportamenti eterogenei. La normativa inserisce una disciplina preliminare: l’art 20 del codice del consumo. Quando si parla di diligenza professionale proprio per assonanza o per prossimità di normative si intende riferirsi a quel concetto di correttezza professionale quando abbiamo parlato della attività di concorrenza sleale. In generale le pratiche commerciali scorrette sono denotate da questi due elementi. Il legislatore ha diviso tutti i comportamenti astrattamente considerabili lesivi in due grosse categorie: da una parte ha inserito la pratiche commerciali ingannevoli, dall’altra vengono inserite le pratiche commerciali aggressive. Sul concetto di pratica commerciale ingannevole abbiamo qualche elemento in più dal fatto che conosciamo l’attività numero 1 dell’art 2598, quindi le pratiche commerciali ingannevoli sono quelle pratiche tali da creare confusione, da sviare il comportamento della clientela. Al pari di quanto dicevamo per l’attività di concorrenza sleale, anche qui rileva l’utilizzo illecito di segni distintivi che creino confusione, ma l’attività assume rilievo non nei rapporti tra imprenditori, ma nel rapporto tra imprenditore e consumatore. È il consumatore che potrà agire per ottenere tutela. Ci sono poi le pratiche commerciali aggressive. Anche qui il sistema è lo stesso: da un parte il legislatore inserisce una definizione e poi inserisce un lungo elenco di attività che sono da considerarsi aggressive. La pratica commerciale è aggressiva se mira o è idonea a limitare la libertà di scelta del consumatore, se cioè lo rende obbligato a effettuare una scelta piuttosto che un’altra. Es effettuare visite presso la casa del consumatore senza ascoltare gli inviti ad andarsene. Sono attività da considerarsi necessariamente illecite. Qual è l’autorità che giudica anche d’ufficio in materia di pratiche commerciali scorrette? È l’autorità garante per la concorrenza e per il mercato. Questa decisione del legislatore di individuare una entità preposta che non è un giudice si è attirata le critiche della dottrina: l’autorità garante è qui preposta al contegno di un interesse civilisticamente rilevante, ha quasi le funzioni di un giudice. Dare un così ampio potere non è una scelta opportuna.

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