Ogni qual volta un bene, garantito alla persona in quanto espressione di un valore costituzionale venga leso dall’autorità del gruppo religioso attraverso un provvedimento disciplinare che risulta legittimo, anzi necessario secondo le regole interne del gruppo religioso, ma che può tuttavia configurare un illecito per l’ordinamento statuale se la sanzione disciplinare consiste in una qualifica negativa di disapprovazione morale a carico del soggetto deviante che può da questo fatto considerarsi colpito nella sua onorabilità.

L’art. 2 lett. c) del Prot. Addiz. al nuovo Accordo fra Stato e Chiesa cattolica, che si riferisce alle ipotesi di provvedimenti e sentenze ecclesiastici “che necessariamente incidono sulla sfera civile, in quanto investono situazioni giuridiche preesistenti e connesse alla qualificazione ecclesiastica o religiosa del destinatario”: ebbene, tali provvedimenti possono essere presi liberamente dall’autorità ecclesiastica, purché però si armonizzino “con i diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini italiani”.

I diritti aventi ad oggetto beni immateriali sono disponibili solo se l’offesa non comporti una menomazione così grave da compromettere la funzione sociale della persona. Ora, la sanzione disciplinare può consistere in una qualificazione del tenore piuttosto pesante, che può travolgere la persona in un giudizio negativo di portata generale, incidendo quindi su di essa in una misura assai più vasta di quella che il legame di gruppo lascia trasparire come ragionevole.

L’ordinamento statuale non può intervenire in difesa del cittadino-fedele che ritenga ingiusto un provvedimento dell’autorità confessionale.

Ma anche qui bisogna fare un’eccezione, per i casi in cui i provvedimenti dell’autorità confessionale si basino sulla violazione di un principio supremo dell’ordinamento quale quello della difesa, del giusto procedimento.

Se ed in quanto possa dimostrarsi che il danno e la sofferenza prodotti dalla sanzione disciplinare dell’autorità confessionale si fondano su uno scorretto uso del potere, ben si potrebbe ipotizzare un intervento del giudice statuale ed un suo provvedimento che la possa configurare alla stregua di un illecito civile, imponendo all’autorità ecclesiastica il risarcimento “dei danni patrimoniali subiti dal soggetto leso”.

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