Se la qualità di ministro di culto sembra avere un suo specifico spessore nell’ordinamento dello Stato, sembra invece irrilevante che un cittadino italiano assuma i voti di castità, povertà ed obbedienza ed entri a fare parte di un istituto di vita consacrata. Il religioso, in sostanza, se vuole adeguarsi agli obblighi che la legge canonica gli impone, deve compiere atti civilmente validi che ottengano come risultato di conformare la sua condizione patrimoniale al diritto della Chiesa. La mancata riproduzione nel nuovo Accordo tra Stato e Chiesa di norme contenute nel precedente Concordato ha peraltro rafforzato l’irrilevanza civile dello status di religioso (es. mancata riproduzione della disposizione che vietava ai religiosi qualsiasi militanza politica).

I religiosi svolgono prestazioni lavorative ritenute tendenzialmente gratuite, rese religionis causa in adempimento dei fini dell’Istituto di appartenenza. Si tende tuttavia a distinguere due casi:

  • se il religioso presta la sua attivitĂ  a favore di un terzo (ente ecclesiastico o meno), non si esclude la possibile costituzione di un rapporto di lavoro subordinato tra religioso e terzo (es. impiego delle suore negli ospedali);
  • se il religioso presta la sua attivitĂ  a favore dell’Istituto di appartenenza, la supposta impossibile terzietĂ  dell’Istituto escluderebbe in radice che l’attivitĂ  svolta dal religioso sia inquadrabile in un rapporto di lavoro, dovendo piuttosto essere considerata adempimento di obblighi inerenti al rapporto associativo.

 Risulta tuttavia difficile pensare che il rapporto di lavoro debba ritenersi incompatibile con lo status peculiare di tali religiosi. La volontarietà della costituzione del rapporto tra religioso ed Istituto di appartenenza e la possibilità di recesso, in particolare, non possono costituire una base utile per un’efficace tutela del religioso lavoratore, la quale presenta molteplici falle:

  • il recesso risulta solo apparentemente libero, in quanto il can. 702 stabilisce che coloro i quali escono dall’istituto o ne sono legittimamente estromessi non possono esigere nulla dall’istituto stesso per qualunque attivitĂ  in esso compiuta . Tale disconoscimento di qualsiasi rapporto obbligatorio sembra lesivo del diritto di libertĂ  religiosa, in quanto si presenta come un possibile condizionamento economico del diritto di recesso. Lo Stato non potrebbe rinunciare a tutelare il religioso recedente senza tradire il dovere di solidarietĂ  di cui all’art. 2 Cost. Considerare sub specie iuris civilis le prestazioni dei religiosi quali vere e proprie prestazioni lavorative, quindi, costituisce il modo migliore per garantire a questa categoria di cittadini una piĂą concreta tutela della loro libertĂ  religiosa individuale;

i religiosi non godono di una tutela previdenziale specifica, dal momento che i tentativi di riforma in questa direzione non hanno avuto finora alcun tipo di successo. Ai sensi della l. n. 392 del 1956, in particolare, per i religiosi è prevista una singolare equiparazione ope legis ai lavoratori dipendenti, la quale opera soltanto qualora essi prestino un’attività lavorativa alle dipendenze di terzi, ossia di soggetti diversi dal proprio istituto

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