Il passaggio dall’enunciazione di principio alla sua concretizzazione è irta di difficoltà, perché la coscienza, se assunta a superiore istanza decisionale, non garantisce più la tenuta dei rapporti sociali; e allora si pone il problema della misura in cui l’ordinamento possa riconoscere questa libertà di conformarsi alla coscienza senza mettere in pericolo la sua stessa sopravvivenza.
Il risultato di questo delicato bilanciamento di esprime perciò in quelle normazioni speciali che riconoscono le svariate figure tradizionalmente ricondotte alla obiezione di coscienza, che consentono cioè a determinati soggetti di sottrarsi alla legge politica per seguire il contrapposto imperativo “dettatogli dal micrordinamento normativo della coscienza”.
a) La questione della carta d’identità.
b) La questione del chador nelle scuole francesi.
c) Conseguimento dello status coniugale.
Perché si possa porre seriamente un conflitto di doveri, occorre che sia individuabile nella normativa statuale un preciso dovere di comportamento: se tale dovere non è con certezza individuabile, evidentemente un autentico conflitto non si pone.
[Gran parte dei problemi legati all’obiezione di coscienza al servizio militare deriva dalla tradizionale interpretazione dell’art. 52 Cost. nel senso di un logico e stretto collegamento fra il primo comma, dove si parla del “sacro dovere” di difesa della Patria, ed il secondo comma, da una parte fa pensare che il pericolo contro cui va difesa la Patria sia costituito da un esercito nemico assalitore, dall’altra, e conseguenzialmente, fa arguire che il servizio militare costituisca l’esclusivo strumento per contrastare siffatto pericolo.
La legge n. 772 solleva dall’obbligo del servizio militare armato i soggetti “che dichiarano di essere contrari all’uso personale delle armi per imprescrivibili motivi di coscienza” ”attinenti ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici e morali”. La domanda “deve indicare il motivo o i motivi rientranti tra quelli indicati” in precedenza, e “può essere corredata di tutti i documenti che l’interessato ritenga utili a sostegno dei motivi addotti”.
L’art. 3 della legge stabilisce che “il ministro per la difesa, con proprio decreto, decide sulla domanda sentito il parere di una commissione circa la fondatezza e la sincerità dei motivi addotti dal richiedente”.
Sulla base di questo parere, il Ministro della difesa decideva, con suo decreto, “entro sei mesi dalla presentazione della domanda”.
Qualche giudicante, fondandosi sull’art. 700 c.p.c. concernente i provvedimenti di urgenza, aveva accordato all’aspirante obiettore, in attesa delle conclusioni del procedimento amministrativo contro il rigetto della domanda da parte del ministro, la c.d. tutela cautelare attraverso una misura sostanzialmente anticipatoria, riconoscendo cioè all’interessato il diritto “a prestare, in luogo del servizio militare armato, servizio sostitutivo”.
Il 14 aprile 1998 la Camera dei Deputati ha approvato una proposta di legge, che ovvia ai descritti inconvenienti, subordinando l’accoglimento della domanda di prestazione del servizio civile all’accertamento negativo, da parte del competente organo di leva, dell’esistenza di precise cause ostative.
L’art. 9 della legge 22 maggio 1978 n. 194 stabilisce al c. 1° che “il personale esercente le attività sanitarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli artt. 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza, quando sollevi obiezioni di coscienza con preventiva dichiarazione”. Qui invero “l’obiezione non abbisogna di essere concessa, bensì è operante quando è dichiarata; non occorre motivazione, né la dichiarazione è soggetta al vaglio dell’amministrazione”.
Il personale medico e para-medico non può sottrarsi a qualsiasi prestazione collegata all’interruzione della gravidanza.
Ad ogni modo, costituendo l’interruzione della gravidanza un pubblico servizio, occorre preventivamente ovviare alla eventuale situazione di paralisi che si creerebbe nei reparti di ostetricia-ginecologia ove mai tutti i sanitari fosse obiettori.
Un richiamo diretto all’efficacia dei diritti costituzionali in questi casi appare infatti difficilmente conciliabile con il rispetto delle possibilità concesse all’autonomia negoziale.
Il problema certo è più generale, nel senso che riguarda tutte le ipotesi in cui il lavoratore possa sottrarsi al suo dovere di prestazione in ossequio a un diritto costituzionalmente garantitogli, ma non si può non rilevare che nel campo degli interessi religiosi esso può assumere connotati particolarmente interessanti.
Già molti anni fa, in Germania, ci si era dovuti occupare del caso della commessa di farmacia che si era rifiutata di vendere al pubblico i contraccettivi.
Il diritto contrattuale non legittima il rifiuto della prestazione motivato da un convincimento interiore, così come non libera il portatore di siffatto convincimento dalla colpa e dalla responsabilità per quel rifiuto ad effettuare la prestazione lavorativa, rifiuto che deve considerarsi illegittimo ed equivale pertanto ad inadempimento.