La situazione in Europa delle Chiese europee è attualmente definita da fenomeni ambivalenti, caratterizzati dall’ estrema mutevolezza sia locale che temporale che rende difficile fissare un quadro preciso della situazione.

Di tali fenomeni, quattro in particolare sembrano degni di essere menzionati.

Il primo è dato da una rinascita del sacro, della religiosità, per molti aspetti inattesa. Tale rinascita porta ad un recupero di rilevanza delle Chiese nei confronti della società civile e dello Stato.

Ma al tempo stesso tale fenomeno è segnato da una certa ambiguità , nella misura in cui la rinascita del sacro significa anche in taluni casi affermazione di una religione individualistica, non collegata con alcuna istituzione ecclesiastica, venendo quindi meno sia il paradigma tradizionale della questione religiosa, in quanto il rapporto si pone nei termini di un rapporto diretto tra l’individuo e lo Stato, sia i modelli tradizionali di Chiese a causa del proliferare di nuovi culti.

Il secondo fenomeno, strettamente collegato con il precedente, è quello del ritorno ad una progressiva rilevanza pubblicistica del fattore religioso e, quindi, delle Chiese. Le ragioni di tale fenomeno sono varie: in particolare la fine delle ideologie (marxista e liberale) che avevano teorizzato il principio della religione come fatto interiore e privato.

Il terzo fenomeno sembra essere quello della rivendicazione da parte delle istituzioni religiose di un regime giuridico che, negli ordinamenti statali, risulti ispirato al tempo stesso a due opposti principi: il diritto all’eguaglianza e il diritto alla diversità, in nome della salvaguardia della peculiare identità di ciascuna Chiesa.

Infine si deve menzionare il fenomeno ambivalente dato dal ruolo delle Chiese alla costruzione dell’ Europa.

Infatti, popoli assai diversi tra loro per razza, lingua, costumi trovano nella religione l’elemento unificante ed il punto di identificazione sul quale viene pian piano a costruirsi anche l’unità politica dell’ Europa medievale. E al passaggio tra medioevo ed età moderna l’unità religiosa degli europei venne a frantumarsi e con essa l’unità politica, tuttavia il cristianesimo rimane l’elemento caratterizzante nel patrimonio genetico dell’ europeo e dell’ Europa. Certo è che le Chiese hanno dato fino ad oggi un contributo rilevante all’ unificazione europea.

Un processo di autocomprensione è in atto nelle Chiese, in ordine al loro ruolo negli Stati europei.

Oltre che da fattori interni, tale processo è stato messo in moto anche da fattori esterni, alcuni dei quali legati al fatto che in non pochi casi le Chiese sono state le levatrici sagge che hanno veicolato il passaggio non cruento dalle esperienze totalitarie alla democrazia, come è avvenuto sia alla caduta dei regimi nazi-fascisti, e più tardi con la caduta dei regimi comunisti.

In altre parole le Chiese hanno spinto verso modelli democratici dapprima i totalitarismi di destra e poi quelli di sinistra, e hanno comunque contribuito all’ avvento ed al consolidamento di quel clima di moderazione che ha evitato forme di violenza in molti casi.

Di fronte ai postulati di ordinamenti laici e secolarizzati, per le Chiese viene a poco a poco a dischiudersi una precisa funzione politica: alimentare di valori il corpo sociale ed offrire risposte alle domande di senso.

Gli scenari che si aprono, nel processo di formazione dell’ Unione europea, in rapporto al ruolo sociale e pubblico delle Chiese, fa porre a molti l’interrogativo se ci si trovi alla fine dell’ era costantiniana o se, viceversa, si veda l’alba di un nuovo costantinismo. Il problema, tuttavia, è mal posto per 2 ragioni.

La prima ragione attiene alla nota polisemia del termine costantinismo, vale a dire alla pluralità di significati che esso di volta in volta assume, perché, posto che con quella espressione si vuole indicare un sistema di unione solidale tra Stato e Chiesa, ci si potrebbe domandare se sia costantiniano l’ordinamento che, pur garantendo a tutti i culti l’eguale libertà, dispone poi una disciplina differenziata nei loro confronti, dettando un particolare regime giuridico per la religione professata dall’assoluta maggioranza della popolazione.

La seconda ragione riguarda il fatto che ogni sistemazione delle varie esperienze storiche nei rapporti tra Stato e Chiesa è insoddisfacente. Le classificazioni dei sistemi di relazione hanno una grande utilità pratica, soprattutto a livello didattico; tuttavia essere risultano sempre imprecise ed inadeguate, perché ogni diversa situazione di tempo e di luogo manifesta elementi di peculiarità tali, da costruire in definitiva un unicum.

A questa regola non si sottrae neppure la categoria del costantinismo.

Il tema della conflittualità sociale si è sostanzialmente spostato dal terreno religioso ad un terreno diverso: quello dell’etica.

Non si può dunque negare una rilevanza delle Chiese nel processo di formazione dell’ Europa. Alle Chiese pare che spetti il compito arduo di favorire al tempo stesso l’unità della comunità politica europea e la diversità delle singole entità nazionali.

La possibilità di conciliare efficacemente questo doppio ruolo dipende innanzitutto da fattori interni alle stesse istituzioni ecclesiastiche.

Ma è anche evidente che siffatta attitudine e siffatto impegno delle Chiese possono essere favoriti, al loro esterno, da una idonea regolamentazione giuridica del fenomeno religioso sia nei singoli ordinamenti statuali, sia nell’ ordinamento europeo.

Per quanto riguarda gli ordinamenti interni degli Stati, tale regolamentazione giuridica dovrebbe ruotare attorno ad alcuni principi inderogabili: il pieno riconoscimento del diritto di libertà religiosa; l’assicurazione dell’ eguale libertà per tutte le Chiese e comunità religiose; la garanzia del diritto alla identità di ciascuna, che comporta il riconoscimento nell’ ordinamento giuridico statale della specificità delle norme e delle strutture interne ad ogni Chiesa e comunità religiosa.

L’attribuzione di una certa rilevanza in materia religiosa, alla diritto personale può vantare del resto una grande tradizione storica, se si guarda ai grandi imperi del passato (come quello austro-ungarico) che ebbero ad affrontare i problemi del governo pacifico e rispettoso di società religiosamente complesse.

Base dell’ ordinamento europeo in materia è nel pieno riconoscimento della libertà di religione non solo come diritto individuale di ogni persona umana, ma anche come diritto collettivo dei culti, così come espresso nella Convenzione europea dei diritti dell’ uomo (art. 9) e nelle disposizioni costituzionali degli Stati facenti parte dell’ Unione europea.

Si deve tuttavia rilevare che tale ordinamento fino al Trattato di Amsterdam del 1997 non contemplava garanzie nei confronti di Chiese e culti. La mancata previsione di specifiche norme relative alle Chiese ed ai culti significa non cogliere le loro sostanziali peculiarità strutturali e funzionali.

D’altra parte la disattenzione sul piano normativo, alla specificità delle Chiese e dei culti, conduceva fatalmente ad alterare il delicato equilibrio tra diritti individuali e diritti collettivi in materia religiosa.

Siffatta situazione è stata almeno parzialmente superata dal Trattato di Amsterdam, che in una dichiarazione annessa all’ atto finale ha preso esplicitamente posizione nei confronti dei profili istituzionali del fenomeno religioso, sia all’interno delle singole realtà nazionali che della stessa Unione europea.

Nella dichiarazione si afferma esplicitamente che l’ Unione europea rispetta e non pregiudica lo status previsto dalle leggi nazionali, di chiese e associazioni o comunità religiose negli Stati membri.

Invero sussistono non poche incertezze sulla dichiarazione, per quanto attiene sia alla sua natura giuridica sia alla sua efficacia. Ciò in quanto essa non farebbe formalmente parte del Trattato di Amsterdam, nella misura in cui è un mero annesso all’ atto finale.

D’altra parte, alla luce dell’ art. 31 della Convenzione di Vienna, la dottrina giuridica dominante tende a considerare le dichiarazioni annesse agli atti finali di trattati conclusi nell’ ambito dell’ Unione europea come parte del contesto del trattato.

L’ effetto giuridico immediatamente più rilevante della dichiarazione sembra essere quello di scongiurare il pericolo di una ricaduta di atti di autorità europee sul peculiare regime dei rapporti Stato-Chiese nelle singole realtà nazionali. Ciò in quanto prima era possibile che il diritto comunitario venisse ad incidere nel regime peculiare che le Chiese e le comunità religiose hanno nei diversi ordinamenti nazionali.

Tuttavia si deve rilevare la non compiuta costruzione dei fondamenti di un diritto ecclesiastico europeo, la cui assenza non agevola quel duplice ruolo delle Chiese e dei culti di favorire il processo di integrazione europea, salvaguardando al tempo stesso le identità nazionali.

La situazione non è sostanzialmente mutata con la solenne proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea nel 2000. Nel documento è assente ogni riferimento alle Chiese, ai culti, alle confessioni religiose, mentre ampio spazio è riservato al diritto di libertà religiosa.

Difatti nell’ art. 10 il primo comma dispone che ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione, così come la libertà di manifestare la propria religione.

Si deve pure richiamare l’ art. 22 della Carta che afferma che l’ Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica.

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