In questo contesto gioca un ruolo fondamentale un diffuso timore che il progresso tecnologico, se non governato adeguatamente, possa condurre a tentativi di manipolazione della natura umana. Si comprendono quindi le ragioni per le quali la Carta dei diritti fondamentali europei abbia previsto che nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati il consenso libero e informato della persona interessata, il divieto delle pratiche eugenetiche, il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti una fonte di lucro e il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani (art. 3 co. 2).
Quanto al diritto alla vita qualsiasi ordinamento giuridico colloca la tutela di tale diritto nei propri principi costituzionali. Non si tratta tuttavia di un diritto assoluto: gli stessi paesi che proclamano solennemente la difesa del diritto alla vita, infatti, ammettono in alcuni casi la pena di morte o almeno la possibilità di sopprimere legittimamente una vita umana in casi determinati dalla legge (es. legittima difesa). Il sistema di tutela, quindi, rileva la propria sostanziale debolezza, perché riferito più che ad un diritto alla vita ad un diritto di vivere di carattere non assoluto. La Grundnorm dell’art. 2 Cost., in sostanza, se vale a determinare il superamento di ogni concezione patrimonialistica del diritto in questione, non permette di assicurare, ad esempio, l’assolutezza della tutela del concepito.
La legge n. 194 del 1978 ( norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza ) ha avuto il merito indiscusso di riconoscere che l’embrione ha un diritto fondamentale alla vita, un diritto che, qualora non coinvolga l’interesse preminente della gestante, esige una protezione giuridica incondizionata. Tale legge non liberalizza l’aborto ma si propone lo scopo di garantire il diritto alla procreazione cosciente e responsabile .
Il dibattito sull’aborto, comunque, fatica a trovare sbocchi ragionevoli per il contrasto assai acceso che sussiste in ordine alla possibilità di stabilire un’equazione di uguaglianza tra embrione e soggetto, resa ardua dall’assoluta incertezza della scienza nello stabilire i confini della persona