La libertà della scelta religiosa compiuta va difesa in vario modo:
a) contro la costrizione a compiere atti che comportino adesione o propensione per uno specifico messaggio religioso, laddove il soggetto, ne compirebbe altri esprimenti la sua adesione a credo religioso diverso da quello cui viene costretto a manifestare;
b) contro persecuzioni o punizioni o discriminazioni per il semplice fatto di aderire ad un credo religioso diverso da quello che eventualmente i poteri pubblici ritengano più serio, più ragionevole, più congeniale ai valori generalmente accolti nella società civile;
c) contro punizioni, ostacoli o difficoltà frapposte alla decisione del soggetto di mutare la scelta compiuta, sia nel senso di un semplice recesso, sia nel senso del passaggio da un credo religioso ad un altro.
La scelta religiosa compiuta va protetta contro ogni attività rivolta a lederne il contenuto. Il sentimento è per l’appunto “l’organo attraverso cui la coscienza individuale si mette in rapporto con i valori”.
La Corte Costituzionale riconduce il sentimento religioso alla coscienza considerata quale sfera virtuale delle espressioni esterne tutelate dai diritti fondamentali; la conseguenza è che anche il sentimento religioso è “da considerarsi tra i beni costituzionalmente rilevanti”, anzi costituirebbe “elemento base della libertà di religione che la Costituzione riconosce a tutti”, un “corollario del diritto costituzionale di libertà di religione”; e questo giustifica misure legislative rivolte a proteggere il sentimento religioso, ossia la sensibilità dei credenti, da offese che possano essere a tale sensibilità arrecate.
Il problema della tutela della sensibilità religiosa si pone, in linea più particolare, con riferimento al settore della pubblicità commerciale, ed in linea generale con riferimento a qualunque tipo di comunicazione, verbale o attraverso strumenti di comunicazione come la stampa, lo spettacolo, le rappresentazioni artistiche e teatrali, e così via.
“La pubblicità televisiva … non deve offendere convinzioni religiose o politiche”, l’art. 8 c. 1° della legge 6 agosto 1990 n. 223 concernente la Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato stabilisce: “La pubblicità radiofonica e televisiva non deve offendere la dignità della persona, non deve evocare discriminazioni di razza, sesso e nazionalità, non deve offendere convinzioni religiose e ideali”.
Il compito di prevenire e reprimere queste offese è affidato al Garante per le radiodiffusioni e l’editoria.
Le più importanti associazioni e società che operano in Italia nel settore dell’advertising hanno dato vita ad una istituzione privata, l’Istituto della Autodisciplina Pubblicitaria, la quale ha elaborato un Codice. Questo codice all’art. 10 impone “l’osservanza di regole dirette a salvaguardare valori essenziali come quello della non discriminazione, del rispetto della persona umana e del rispetto delle altrui convinzioni civili, morali e religiose”.
A tal fine è istituito un Comitato di controllo che ha per l’appunto il compito di far applicare le norme del Codice, e può ordinare la cessazione del messaggio pubblicitario il cui esame gli è stato richiesto dal Comitato di Controllo.
Il nostro codice penale ha un titolo che reca “Dei delitti contro il sentimento religioso”; il capo I dell’indicato titolo in realtà recita: “Dei delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi”, e le figure di reato sono le seguenti.
L’art. 402 prevede il vilipendio alla religione dello Stato. Il vilipendio consiste in espressioni, verbali o scritte, di disprezzo, di scherno, di ingiuria grossolana e volgare.
L’art. 405 punisce “chiunque impedisce o turba l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto cattolico, le quali si compiano con l’assistenza di un ministro del culto medesimo”.
L’art. 406 punisce i fatti preveduti dagli artt. 403, 404 e 405 se commessi “contro un culto ammesso nello Stato, ma la pena è diminuita”.