Riguardo all’ingresso, in base alla direttiva 2004/38, è fatto obbligo agli Stati membri di ammettere nel loro territorio il cittadino dell’Unione munito di carta d’identità o di un passaporto valido(art. 5). Nella maggioranza degli Stati membri, la presentazione del documento all’atto di ingresso non è più imposta, a seguito della eliminazione dei controlli alle frontiere interne. All’obbligo di ammissione è correlativo l’obbligo posto agli Stati membri di riconoscere ai propri cittadini il “diritto di uscita” dal loro territorio, nonché di rilasciare o rinnovare i documenti di identità.
La Corte ha ritenuto che sia dunque vietata qualsiasi misura che possa ostacolare la libera circolazione anche se fondata su criteri diversi da quello della cittadinanza. Cosi, nella sentenza BOSMAN(1995), ha affermato che le disposizioni che impediscano ad un cittadino di uno Stato membro di lasciare il paese d’origine per esercitare il suo diritto di libera circolazione o che lo dissuadano dal farlo,costituiscono ostacoli frapposti a tale libertà.
La Corte ha, perciò, ritenuto incompatibile con il Trattato una normativa nazionale che subordinava la possibilità per un calciatore di esercitare la sua attività in una società stabilita in un altro Stato membro alla condizione che quest’ultima avesse versato alla società di provenienza un’indennità di trasferimento. Riguardo al soggiorno, la direttiva 2004/38 consente agli Stati membri di richiedere al cittadino dell’UE che soggiorni per un periodo superiore a 3 mesi “l’iscrizione presso le autorità competenti”.
Qualora l’iscrizione sia prevista, l’attestato di iscrizione deve essere rilasciato immediatamente a condizione che il cittadino esibisca un documento d’identità valido e, se soggiorna per lavoro subordinato,una conferma di assunzione del datore di lavoro. La direttiva prevede inoltre un diritto di soggiorno permanente a favore di coloro che abbiano risieduto legalmente e in via continuativa nello Stato membro ospitante per almeno 5 anni; i titolari di tale diritto possono soggiornare nello Stato membro senza dover dimostrare il possesso dei requisiti previsti ai fini dell’ottenimento dell’attestato di iscrizione.
L’inadempimento dell’obbligo di iscrizione rende l’interessato passibile di sanzione proporzionate e non discriminatorie ma non l’espulsione. Le formalità previste ai fini del soggiorno non devono essere tali da ostacolare la libera circolazione delle persone. Perciò, la normativa italiana che richiedeva agli stranieri di rendere la dichiarazione di soggiorno entro soli 3 giorni dall’ingresso è stata ritenuta ingiustificatamente limitativa di tale libertà poiché l’imposizione di un termine cosi stretto non appariva infatti indispensabile per tutelare l’interesse dello Stato ospitante ed essere esattamente informato dei movimenti della popolazione nel territorio. Dunque, la compatibilità delle misure nazionali di controllo con il Trattato vengono valutate dalla Corte di volta in volta in base al principio della proporzionalità.