Al cittadino europeo che esercita la libertà di circolazione sono conferiti diritti di articolare rilevanza,quali il diritto di farsi raggiungere dai propri familiari e il diritto a non essere discriminato rispetto ai cittadini dello Stato membro nel quale si trova. Il divieto di discriminazione è enunciato all’ART. 18 TFUE che vieta appunto le discriminazioni in base alla nazionalità nel campo di applicazione dei Trattati. Tale divieto non si applica solo alle discriminazioni dirette, ma anche a quelle indirette,cioè che,pur fondandosi su un criterio diverso dalla nazionalità (come la residenza) comportano un trattamento meno favorevole per il cittadino di un altro Stato membro rispetto al nazionale.
Il divieto di discriminazione si applica soltanto a coloro che esercitino,o abbiano esercitato, la libertà di circolazione. Infatti tali disposizioni non possono essere fatte valere da un “cittadino di uno Stato membro che non si sia mai avvalso del diritto della libera circolazione all’interno della Comunità”. Invece le stesse disposizioni possono essere fatte valere dal lavoratore anche nei confronti dello Stato membro di cui è cittadino qualora abbia risieduto e svolto attività lavorativa subordinata in un altro Stato membro.
Dunque,il lavoratore potrà giovarsi dell’applicazione delle norme dell’Unione anche quando rientri nel suo Stato nazionale a condizione che abbia in precedenza esercitato il diritto alla libera circolazione. Affinché il cittadino goda della qualifica di lavoratore, la Corte ha ritenuto che anche un’attività lavorativa esercitata a tempo determinato per un periodo di 2 mesi e mezzo. Ciò è sufficiente per acquisire lo status di cittadino UE che ha esercitato la libertà di circolazione e quindi per poter poi beneficiare delle norme UE anche dopo il rientro nello Stato di appartenenza.
In seguito la Corte ha ritenuto che anche il trasferimento per motivi di studio era sufficiente per godere dello status di cittadino UE, fino ad arrivare ad affermare che l’elemento di trasnazionalità poteva essere costituito dalla semplice circostanza che il cittadino prestava dei servizi in altri Stati membri pur non spostandosi materialmente dal proprio luogo di residenza. Una giurisprudenza più recente ha ulteriormente allargato il presupposto applicativo delle disposizioni del trattato affermando che è sufficiente a tal fine il trasferimento di residenza in un diverso Stato membro anche quando l’attività lavorativa continui ad essere svolta nello Stato di cittadinanza.
Una limitazione del campo applicativo delle disposizioni sulla libertà di circolazione delle persone deriva,riguardo ai lavoratori,dagli atti di adesione dei nuovi Stati membri. Rispetto ai cittadini degli 8 Stati dell’est europeo che hanno aderito all’UE nel 2004, l’Atto di adesione consente ai vecchi Stati membri di derogare all’applicazione delle norme sulla circolazione dei lavoratori per un periodo massimo di 7 anni; la facoltà di deroga era piena per i primi 5 anni mentre è più ristretta per i due anni successivi giacché gli Stati possono adottare misure restrittive solo se rilevano l’esistenza di un rischio di gravi perturbazioni sul loro mercato del lavoro. Per il medesimo periodo di tempo possono essere mantenute misure restrittive riguardo ai cittadini di Romania e Bulgaria che hanno aderito all’UE dal 1 gennaio 2007.