L’esame delle attribuzioni della Corte sarà compiuto in una sede apposita e senza differenziare i due tronconi (la Corte e il TPG) in cui ora è articolata la giurisdizione comunitaria (un terzo troncone nascerà con l’attivazione delle camere giurisdizionali; come previsto dall’art. 225 A). Questa indistinzione è il risultato del modo in cui è sorto il Tribunale, quasi come una “costola di Adamo” della Corte.
La Corte è composta attualmente (in passato i seggi erano in numero minore) da quindici giudici assistiti da otto avvocati generali. Sia essa che il Tribunale hanno sede in Lussemburgo.
In pratica, ogni Stato ha un giudice, mentre i posti di avvocato generale spettano, in base ad una norma non scritta, uno a ciascuno dei cinque Stati «grandi» mentre i tre restanti vanno a rotazione.
Il Trattato di Nizza ha stabilito il principio della nomina di un giudice da parte di ciascuno Stato membro.
Giudici e avvocati generali vengono scelti tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza e sono dotati di un medesimo status giuridico e trattamento economico; sono nominati di comune accordo dagli Stati membri per un periodo di sei anni; ogni tre anni si procede ad un rinnovamento parziale che interessa 8 (o 7) giudici e 4 avvocati generali (sia i primi che i secondi possono essere riconfermati).
L’attività della Corte è disciplinata dallo statuto, che costituisce un allegato del Trattato CE. Vi è poi un regolamento di procedura adottato dalla stessa Corte ma sottoposto all’approvazione del Consiglio. Esso è stato emendato più volte.
L’avvocato generale è tenuto a «presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sugli affari sottoposti alla Corte» (art. 222, già 166, 2° comma, Trattato CE). Le sue conclusioni – per ogni causa interviene un solo avvocato generale – vengono pubblicate in appendice alla sentenza della Corte. Con il Trattato di Nizza, la partecipazione dell’avvocato generale al processo comunitario cessa di essere obbligatoria.
La posizione dell’avvocato generale non può essere assimilata a quella del pubblico ministero nel nostro processo penale (dove è l’organo dello Stato che esercita l’azione penale, ed anzi ha il dovere di esercitarla: art. 112 Cost.) o in quello civile (dove ha poteri di esercizio dell’azione civile o di intervento nei giudizi in una serie specifica di casi), e nemmeno a quella dell’amicus curiae del diritto giudiziario anglosassone (soprattutto degli USA) che interviene col permesso del giudice per offrire dei pareri al giudice.
Qualche analogia può ravvisarsi, anche per il modo in cui ne è disciplinata la partecipazione alla procedura, con il nostro pubblico ministero nelle cause civili in cassazione: l’avvocato generale deposita le proprie conclusioni dopo l’udienza di discussione così come nel processo in Cassazione il pubblico ministero prende la parola dopo gli avvocati delle parti (i quali peraltro possono depositare ulteriori brevi osservazioni relative all’intervento del p.m.).
L’art. 222 precisa che l’ufficio dell’avvocato generale consiste nell’assistere la Corte nell’adempimento della sua missione che è quella di garantire il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati.
Il presidente è eletto dagli altri giudici per la durata di tre anni. Agli inizi la Corte si riuniva soltanto in seduta plenaria. Con l’aumento delle cause, specie a partire dagli anni ’70, sono state create delle sezioni, composte da un numero di giudici variabile da 3 a 7 (ma senza alcuna specializzazione ufficiale), allo scopo di procedere a determinati provvedimenti istruttori o di giudicare determinate categorie di affari. Con il Trattato di Nizza è stata istituita una Grande Chambre costituita da 11 giudici e presieduta dal Presidente. Ad essa saranno affidati i ricorsi per i quali vi è richiesta di uno Stato membro o di un’istituzione.
L’incremento delle cause portate alla cognizione della Corte (ormai 300/400 per anno) e l’allungarsi dei tempi medi per ogni decisione (da 9 mesi nel 1975 a 24 nel 1999), hanno indotto a creare il Tribunale di primo grado.
A prevederlo fu l’AUE che introduceva nel testo dei Trattati istitutivi delle Comunità europee tre articoli assolutamente identici (per la CE l’art. 225, già 168 A) relativi all’istituzione del Tribunale di primo grado.
La costituzione di esso ha avuto luogo mediante una decisione del Consiglio (24 ottobre 1988, pubblicata in un testo rettificato in GUCE 21-VIII-1989, n. C 215) a ciò autorizzato – circostanza eccezionale perché al Consiglio veniva così delegato il potere di operare una modificazione del Trattato, vale a dire delle norme «superprimarie» dell’ordinamento comunitario – dall’art. 168 A e dalle norme corrispondenti previste per i trattati CECA ed Euratom. Il regolamento di procedura è stato emanato dalla Corte di giustizia con le stesse modalità previste per la Corte.
Il Tribunale è entrato in funzione il 31 ottobre 1989.
Esso è composto da quindici membri, aventi le stesse caratteristiche dei giudici della Corte e nominati «di comune accordo» tra gli Stati per un periodo di sei anni, e siede in sezioni composte di tre o cinque giudici. I giudici sono chiamati di volta in volta ad esercitare le funzioni di avvocato generale (quando questi debba intervenire nella causa).
In base all’art. 225 (già 168 A) le categorie di ricorsi proponibili al Tribunale anziché direttamente alla Corte sono determinate mediante delibere prese all’unanimità dal Consiglio su richiesta della stessa Corte.
Un’eccezione è stabilita per le questioni pregiudiziali che non possono essere attribuite al Tribunale (evidentemente per garantire un’interpretazione uniforme e in tempi brevi delle norme comunitarie; inoltre perché queste spesso coinvolgono un giudizio sul diritto degli Stati). Il Trattato di Nizza ha previsto una competenza del Tribunale per le questioni pregiudiziali relative a materie specifiche.
In base a questa norma, le competenze del Tribunale (all’inizio assai limitate, ancorché includessero già i ricorsi in materia di concorrenza) sono state estese a tutti i ricorsi diretti di individui, persone fisiche e giuridiche, mentre restano riservati alla cognizione esclusiva della Corte i ricorsi delle istituzioni, degli Stati membri e della BCE (che sono rivolti contro atti di altre istituzioni e quindi interistituzionali): dopo il Trattato di Nizza restano di competenza della Corte solo i ricorsi contro gli atti e le “carenze” del PE e del Consiglio, o di entrambi nella procedura di codecisione.
Il potere di impugnazione spetta, oltre che alla parte soccombente, agli altri membri e alle istituzioni, anche quando non abbiano partecipato al giudizio di primo grado. Nei limiti segnalati dalle perduranti competenze «esclusive» della Corte, può quindi dirsi che è stato realizzato il principio del doppio grado di giudizio (ritenuto particolarmente importante, a livello europeo, perché è una delle guarentigie della CEDU).
L’art. 51 dello Statuto della Corte indica i seguenti motivi di ricorso:
– incompetenza del Tribunale;
– vizi di procedura
– violazione del diritto comunitario.
Il Tribunale costituisce comunque una componente della Corte di giustizia – ora suddivisa in due «tronconi» – che rimane quella che era prima e non sottrae al giudice nazionale il ruolo di giudice comunitario di «diritto comune». Dopo il Trattato di Nizza, si può dire che sono state lasciate alla Corte soltanto le funzioni di carattere costituzionale o più intimamente collegate con l’esigenza di tutelare l’unità del sistema giuridico comunitario.
Le sentenze del Tribunale possono essere impugnate dinanzi alla Corte «per i soli motivi di diritto». La Corte può respingere l’impugnazione oppure accoglierla. Nel secondo caso essa può statuire definitivamente sul merito qualora lo stato degli atti glielo consenta, oppure rinviare la causa al Tribunale fissando i punti di diritto ai quali questo dovrà attenersi.
Il Trattato di Nizza ha previsto la possibilità di aggiungere al Tribunale delle camere giurisdizionali speciali per certe materie specifiche. L’appello contro la loro decisione sarà di competenza del TPG.