Nel nostro ordinamento, nonostante i diversi tentativi, manca una disciplina legislativa del fenomeno chiamato mobbing.
Generalmente si parla di mobbing in riferimento ad ogni ipotesi di pratiche vessatorie poste in essere da uno o più soggetti diversi, per danneggiare in modo sistematico il lavoratore nel suo ambiente di lavoro.
Non è però chiaro, proprio perchè manca una disciplina legislativa, se per configurare la fattispecie del mobbing sia necessaria l’intenzionalità dell’autore della condotta di ledere il lavoratore con la finalità di espellerlo dal lavoro o di emarginarlo.
Si distinguono tre tipi di mobbing:
- orizzontale, quando le aggressioni o vessazioni provengono da persone che sono colleghi di lavoro della vittima
- verticale, quando l’aggressione è provocata dal datore di lavoro o altro superiore gerarchico
- ascendente, quando l’aggressione proviene da soggetti sotto ordinati della vittima
Le forme più frequenti di mobbing sono costituite da dequalificazione professionale del lavoratore al solo fine di mortificarlo, comportamenti fastidiosi e offensivi ripetuti, fatti con il fine di svilire e isolare le persone, continue critiche e mortificazioni.
l’attività esecutoria ha lo scopo di indurre il lavoratore a dimettersi o a rinunciare ad eventuali incarichi, oppure di creare i presupposti affinchè la vittima sia emarginata dal contesto lavorativo.
Il responsabile del danno subito dal lavoratore è il datore di lavoro, poichè questo ha l’obbligo (ai sensi dell’ art. 2087) di garantire la sicurezza del lavoratore. Si tratta quindi di una responsabilità di natura contrattuale.
Sotto il profilo penale, va premesso che il nostro ordinamento non prevede un reato di mobbing, però può accadere che la condotto di mobbing abbia caratteristiche di uno specifico reato punito dalla legge e iin tal caso verranno in rilievo le norme penali.
L’onere della prova di mobbing grava sul lavoratore che agisce in giudizio.