Dal punto di vista sostanziale, la fonte principale di determinazione dei presupposti del potere è divenuto il contratto collettivo: l’art. 7 co. 1, infatti, dispone che le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di essere può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi (collettivi) di lavoro ove esistano . Il datore di lavoro, quindi, non può più prevedere infrazioni e sanzioni a suo piacimento, ma deve applicare obbligatoriamente le norme dei contratti collettivi che prevedono il codice disciplinare. Tale investitura della fonte collettiva, comunque, si accompagna al principio di legalità, secondo cui la fonte del potere disciplinare deve stabilire preventivamente le ipotesi di legittimo esercizio di tale potere, sia come infrazione (nullum crimen sine lege) che come sanzioni (nulla pena sine lege).

Quanto alle sanzioni, dai contratti collettivi sono previsti il rimprovero verbale, il rimprovero scritto e la multa. Tale consolidato elemento è anche il frutto di alcuni limiti imperativi, posti dall’art. 7 co. 4 St. lav. che i contratti collettivi, e a fortiori l’imprenditore, devono rispettare:

  • la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione.
  • la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione non può protrarsi per più di dieci giorni.
  • non possono essere disposte sanzioni che comportino mutamenti definitivi del rapporto (es. trasferimento, mutamento di mansioni). Qualora un lavoratore ritenga che un trasferimento si dovuto a ragioni disciplinari non dichiarate può impugnarlo e, eventualmente, ottenerne la nullità.

 Il codice disciplinare deve esplicitare anche il rapporto fra infrazioni e sanzioni. In un’ottica garantistica, l’ideale sarebbe che per ciascuna infrazione si specificasse la sanzione irrogabile, cosa questa non sempre possibile: talvolta, infatti, i codici lasciano al datore di lavoro un eccessivo spazio decisionale. Quasi tutti i contratti collettivi prevedono la recidiva, che opera come fattore di aggravamento della responsabilità disciplinare. Ad una certa infrazione, quindi, può conseguire una sanzione più grave di quella ordinariamente prevista, poiché il lavoratore è già incorso in una precedente sanzione per una condotta simile (recidiva specifica) o in altre sanzioni disciplinari (recidiva generica). L’art. 7 co. 7 dispone che, ai fini della recidiva, non possono rilevare sanzioni applicate più di due anni prima.

L’art. 7 co. 1, infine, preoccupandosi di garantire che ai lavoratori venga data un’informazione adeguata in ordine al codice disciplinare, dispone che esso venga affisso in luogo accessibile a tutti

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