L’art. 2118, come detto, pone un unico limite all’esercizio, da parte del datore di lavoro, del diritto di recedere dal rapporto, ossia l’obbligo di preavviso (rinvio dell’efficacia giuridica dell’atto di recesso). In mancanza di preavviso, come detto, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore un’indennità sostitutiva del preavviso, pari alla retribuzione che gli sarebbe spettata per il periodo di preavviso. Di fatto, anche per il desiderio di liberarsi immediatamente del dipendente, i datori di lavoro comunicano spesso a questi, nella lettera di comunicazione del licenziamento, che il preavviso lavorato sarà sostituito dalla corrispondente indennità (ipotesi discussa).

 Nel sistema del codice civile, era prevista anche un’altra tipologia di recesso, quello per giusta causa (art. 2119), il cui effetto giuridico era appunto quello di esonerare il datore di lavoro dal riconoscimento del preavviso, in forza del verificarsi di quella che il codice definisce una causa che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto . La giusta causa, tuttavia, non rappresentava un’ipotesi ante litteram di necessaria giustificazione del licenziamento, avendo soltanto l’effetto tipico di far venir meno l’obbligo del preavviso.

 Con la l. n. 604 del 1966, anticipata nel contenuto da alcuni filoni dottrinali, fu definitivamente affermato il principio per cui il licenziamento del lavoratore deve essere assistito da un giustificato motivo (art. 1), la cui esistenza deve poi essere dimostrata in giudizio. Qualora poi si ravvisi anche la presenza di una giusta causa, il licenziamento dovrà essere ritenuto legittimo a maggior ragione, con l’ulteriore conseguenza dell’esonero del datore di lavoro dal preavviso.

Le vicissitudini della disciplina del licenziamento individuale non si sono certamente esaurite con tale legge, anche perché successivamente l’enfasi si è spostata non sul principio ormai acquisito della necessaria giustificazione del licenziamento, bensì sul sistema sanzionatorio applicabile in caso di licenziamento ingiustificato (illegittimo). Il regime delle sanzioni, quindi, è stato rafforzato, con un’estensione del campo di applicazione della c.d. tutela (o stabilità) reale, prevista dall’art. 18 St. lav. Peraltro, proprio la tutela reale, che comporta il diritto del lavoratore ingiustamente licenziato al ripristino del rapporto ed alla reintegrazione nel posto di lavoro, si trova attualmente al centro del dibattito, sostenendosi da taluni che essa comporterebbe vincoli troppo pesanti per le imprese, agendo così come disincentivo alle assunzioni e pregiudicando la funzionalità del mercato del lavoro.

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