Limitazioni alla capacitĂ giuridica di prestare lavoro sono state previste nel tempo nei riguardi della donna, tenuto conto delle sue caratteristiche psicologiche e della sua essenziale funzione familiare.
Una prima inversione di tendenza è stata attuata con legge n. 903 del 1977, che ad esempio ha mantenuto il divieto di lavoro notturno per la donna, ma per il solo periodo di stato di gravidanza e per il primo anno di età del bambino.
Va poi ricordato che l’art.37 della Costituzione stabilisce che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, la stessa retribuzione che spettano al lavoratore. IN attuazione di ciò la legge vieta qualsiasi discriminazione in base al sesso in materia di lavoro, retribuzione e carriera. Inoltre la legge introduce una speciale procedura giudiziaria d’urgenza per il caso in cui i diritti della lavoatrice siano stati gravemente violati.
Nonostante la legge del 1977, si avvertiva ancora l’esigenza di creare i presupposti per un’autonomia della donna sul piano personale, professionale ed economico.
A tal fine è stata introdotta la legge n. 125 del 1991 che prevede azioni positive che hanno lo scopo di eliminare le disparità di fatto che danneggiano le donne e favorire l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali ed una migliore ripartizione delle responsabilità tra i due sessi. Inoltre viene anche ampliata la nozione di discriminazione vietata, intendendosi ogni trattamento pregiudidizievole conseguente all’adozione di criteri che avvantaggino i lavoratori dell’uno o dell’altro sesso.
La donna lavoratrice che lamenti una discriminazione può limitarsi a provare solo il fatto della disparità di trattamento anche desumendolo da dati statistici, mentre incombe sul datore di lavoro l’onere di provare l’inesistenza della discriminazione.