L’art. 2099 contiene un’enunciazione generale delle forme della retribuzione:
- quella a tempo, che si attaglia alla natura continuativa dell’impegno temporale del lavoratore subordinato e che può ulteriormente specificarsi in relazione a certe modalità temporali (es. lavoro notturno).
- quella a cottimo (artt. 2100 e 2101), legata al rendimento della singola prestazione e ancora in uso in alcuni lavoratori.
Al di là del concetto tradizionale di retribuzione a cottimo, possono essere attribuiti al lavoratore anche compensi variabili, collegati a parametri di varia natura, relativi alla produttività del lavoratore e/ o dell’impresa o alla redditività di questa (es. retribuzione di risultato).
Le forme di retribuzione variabili sono oggetto di un intenso dibattito, che risale al protocollo Ciampi del 1993, nel quale tali forme furono elettivamente assegnate, come competenza, alla contrattazione di livello decentrato, e in particolare aziendale, che è quella propria, dal momento che soltanto a livello di ciascuna azienda è possibile misurare effettivamente i parametri di produttività e di redditività ai quali tali voci devono essere agganciate. In questo modo si voleva evitare che la contrattazione aziendale operasse soltanto come veicolo di una contrattazione integrativa, con aumenti retributivi c.d. a pioggia, e divenisse invece lo strumento virtuoso di un miglioramento qualitativo.
La ragione dell’insistenza sullo sviluppo di queste forme di retribuzione è stata da ultimo focalizzata sulla necessità di ricavare spazi per un incremento del valore reale delle retribuzioni, e sulla possibilità di farlo soltanto in connessione ad effettivi incrementi di produttività. È chiaro, al contempo, che quanto più si riuscisse a spostare il baricentro della retribuzione nella contrattazione aziendale, tanto più si amplierebbe lo spettro della diversificazione retributiva, e vi sarebbero settori e aziende in cui si guadagna di più ed altri, al contrario, sacrificati.
Come ulteriore sviluppo del concetto di retribuzione variabile, è possibile che la retribuzione consista nella distribuzione di titoli azionari ai dipendenti della società, fenomeno questo diffuso in particolare nei confronti dei dirigenti ai quali principalmente sono distribuiti diritti di opzione per l’acquisto di azioni (stock options). Piuttosto rara, al contrario, è la distribuzione di azioni ai semplici dipendenti, prospettiva questa guardata con dichiarato timore dai sindacati italiani, nella misura in cui, attraverso l’azionariato, il lavoratore rischia di confondersi con il capitalista