Come risulta dalla trattazione della cassa integrazione, essa non prevede di per sé la necessità giuridica di un accordo preventivo con le associazioni sindacali. Spesso si raggiungono comunque accordi, ma essi non fanno comunque le veci degli organismi pubblici abilitati alle decisioni in materia di CIG.
Una particolare forma di cassa integrazione, tuttavia, ossia il contratto di solidarietà, presuppone un contratto collettivo stipulato in sede aziendale con i sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative. La l. n. 863 del 1984 prevede due tipi di contratti di solidarietà:
- quelli difensivi (considerati), che possono essere stipulati per evitare una riduzione del personale e quindi come strumento di riassorbimento delle eccedenze (art. 1).
- quelli offensivi, con i quali i lavoratori di un’impresa rinunciavano ad un certo quantitativo di orario di lavoro e di retribuzione in cambio dell’assunzione di altri dipendenti (art. 2).
Mentre questa seconda tipologia, essendo pensata come puramente altruistica, è rimasta quasi del tutto sconosciuta, la prima, finalizzata all’autodifesa, ha invece avuto una maggiore importanza.
I contratti di solidarietà difensivi, comunque, consistono in un meccanismo complesso, integrato da un accordo collettivo e stipulato con i sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative, con i quali si concorda una riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione (es. 50%). La metà di tale riduzione (es. 25%) viene poi restituita dallo Stato attraverso l’erogazione ai lavoratori di un’indennità autorizzata dal Ministero del lavoro ed erogata materialmente dall’INPS.
Riduzione del personale (licenziamento collettivo e mobilità).
Il licenziamento collettivo è il provvedimento cui un’impresa è abilitata a ricorrere allorché si trova di fronte ad un’eccedenza di personale orami strutturale, ed ha bisogno, quindi, di ridurre stabilmente il livello di organico. Tale istituto è sempre stato al centro di forti incertezze, diviso tra l’esigenza di offrire una protezione ai lavoratori coinvolti in una riduzione di personale, e la difficoltà di contrastare con i mezzi del diritto decisioni imprenditoriali che sono quasi sempre inevitabili.
Sin dal 1975, una direttiva comunitaria aveva suggerito agli Stati membri l’adozione di un modello di tutela più moderno e strutturato, incentrato sulla creazione di uno spazio procedurale che istituzionalizzasse un coinvolgimento preventivo delle organizzazioni sindacali, in funzione di controllo della decisione imprenditoriale, e quindi a protezione degli interessi dei lavoratori. Tale direttiva è rimasta a lungo inattuata, sino a quando è stata emanata la l. n. 223 del 1991, la quale ha recepito le prescrizioni comunitarie aggiungendovi altri rilevanti tasselli.
Gli aspetti salienti della disciplina possono essere sintetizzati nei seguenti punti:
- non vi sono limiti sostanziali alla possibilità per il datore di lavoro di procedere ad un licenziamento collettivo, anche e soprattutto in considerazione dell’art. 41 co. 1 Cost.: l’imprenditore, infatti, non è giuridicamente obbligato a ricorrere ad altri strumenti (es. CIG) prima di procedere a tale licenziamento.
- l’imprenditore deve sottomettere alla propria decisione ad una procedura che veda coinvolti in senso partecipativo le organizzazioni sindacali e gli organismi di rappresentanza dei lavoratori, accettando un confronto aperto e trasparente sulla situazione che ha portato al progetto di ridurre il personale.
- se al termine del confronto non è stato raggiunto un accordo, oppure è stato raggiunto con la previsione di un certo numero di licenziamenti, si passa alla successiva fase dell’adozione dei singoli atti di licenziamento, nel rispetto dei criteri di scelta eventualmente concordati in sede sindacale.
- si attiva a questo punto la rete di sicurezza sociale predisposta dalla legge, che consiste nella collocazione in mobilità dei lavoratori oggetto del licenziamento collettivo: tali lavoratori, dopo essere stati iscritti in una lista di mobilità, possono beneficiare di un’assistenza economica e di un sostegno nei riguardi dell’avviamento presso altre attività lavorative.
- La mobilità, in particolare, rappresenta, almeno nelle intenzioni, una CIGS di nuovo conio, differita a dopo il licenziamento e auspicabilmente proiettata in senso propulsivo, ossia verso una rioccupazione dei lavoratori