(da tenere presente che il 14 settembre 2011 è stato approvato il nuovo Testo Unico che apporta delle modifiche sostanziali; per approfondire andare al seguente link)
’apprendistato è lo strumento più tradizionale di avviamento lavorativo del giovane, in genere subito dopo l’assolvimento dell’obbligo scolastico. L’istituto, già normato nel 1955, è stato disciplinato ex novo dal d.lgs. n. 276 del 2003, successivamente modificato dalla l. n. 133 del 2008, con misure che, per un verso, hanno mantenuto aspetti essenziali del precedente regime dell’istituto, e per un altro sono state portatrici di sostanziali novità. Tra queste, principalmente la suddivisione dell’apprendistato in tre tipologie, rapportate a diverse fasce di mercato, la soppressione della necessità di una previa autorizzazione amministrativa e, infine, il tentativo del legislatore nazionale di coinvolgere più attivamente le Regioni (proposito sostanzialmente fallito).
Le tipologie di apprendistato, comunque, sono le seguenti:
- apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, forma riservata ai giovani con età compresa tra i 16 e i 25 anni per una durata non superiore a tre anni. Tale apprendistato consiste in un contratto previsto per consentire ad un giovane di completare, pur proseguendo a lavorare, il percorso di studi obbligatorio (diciotto anni).
- apprendistato professionalizzante, rivolto al conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e l’acquisizione di competenze di base, per i soggetti tra 18 e 29 anni. La durata di questa forma contrattuale non può essere superiore a sei anni, ferma restando l’eventuale minore durata prevista dai contratti collettivi.
- apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione, destinato ai soggetti di età compresa fra 18 e 29 anni e con durata da determinarsi da parte della contrattazione collettiva.
Il primo e il secondo tipo di apprendistato sono disciplinati secondo i seguenti principi e criteri direttivi, che si muovono su linee in buona parte simili a quelle previste dalla legislazione attuale:
- forma scritta prevista ad substantiamdel contratto, contenente:
- l’indicazione della prestazione oggetto del contratto.
- l’indicazione del piano formativo individuale.
- l’indicazione della qualifica che potrà essere acquisita al termine.
- possibilità di inquadrare il lavoratore sino a due livelli al di sotto di quello normalmente spettante in base al contratto collettivo di riferimento.
- previsione di un monte ore minimo di 120 ore annue di formazione, tanto esterna quanto interna all’azienda, e rinvio ai contratti collettivi ai fini della determinazione delle modalità di erogazione della formazione in azienda, ma negli standard generali fissati dalle Regioni di intesa con le parti.
La l. n. 133 del 2008 ha previsto (art. 49 co. 5 ter) che in caso di formazione esclusivamente aziendale, i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante sono rimessi ai contratti collettivi di lavoro, oppure agli enti bilaterali (eliminato il ruolo delle Regioni).
- previsione, in relazione ad ogni contratto di apprendistato, di un piano formativo individuale, che descriva nei dettagli il percorso formativo predisposto per il lavoratore, con l’assistenza di un tutor.
- permanenza dei tradizionali incentivi economici (riduzione dell’importo dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro), tra l’altro mantenuti, in caso di conferma del lavoratore, anche per un anno dopo tale conferma.
- ulteriore incentivo normativo, consistente nella facoltà di computare gli apprendisti ai fini della consistenza occupazionale dell’impresa.
La riforma del 2003, inoltre, ha precisato che quello di apprendistato non è un contratto a tempo determinato, bensì un contratto a tempo indeterminato, seppur correlato dalla previsione di limiti massimi e minimi di durata, all’interno dei quali deve collocarsi la durata pattuita. L’implicazione di tale qualifica è che, nel corso di un contratto di apprendistato, il recesso (dimissioni o licenziamento) rimane possibile, agli stessi limiti e condizioni previsti per il lavoratore a tempo indeterminato, con l’importante differenza, tuttavia, che, al termine del rapporto, il recesso rimane libero (art. 2118) ed il datore di lavoro ha la facoltà di non confermare il lavoratore.