Le direttive che comportano soltanto un’obbligazione di risultato, in quanto lasciano allo Stato la discrezionalitĂ  sulle forme e sui mezzi che appaiono piĂą idonei a perseguire il fine prestabilito.

 In Italia il sistema attuativo delle direttive è sempre stato ferruginoso e scoordinato tanto da dare luogo a gravi ritardi e numerosi inadempienze.

Legge comunitaria come strumento periodico di recepimento del diritto comunitario

Con la legge n.9 marzo 1989 n.86 cosiddetta legge la pergola, in cui si supera la logica dell’emergenza e dell’occasionalitĂ  per creare invece un sistema organico e tempestivo di adeguamento, fondato su uno strumento del tutto innovativo, la legge comunitaria annuale.

 La legge comunitaria, tende a garantire la regolaritĂ  e la tempestivitĂ  dell’adeguamento, disponendo si attuazioni dirette, ma gestendo anche l’attuazione con una serie di procedimenti “a cascata” che possono coinvolgere l’autonomia legislativa del governo, l’autonomia amministrativa regolamentare e l’autonomia legislativa regionale.

 Le singole leggi comunitarie possono provvedere:

  • direttamente;
  • possono disporre la delega legislativa nei casi in cui vi sia una materia in cui il legislatore voglia mantenere la propria competenza;
  • autorizza alla delegificazione in materie non coperte da riserva di legge;
  • stabiliscono l’attuazione in via amministrativa.

 I tempi del recepimento in Italia delle direttive comunitarie sono nettamente migliorate. Risultati molto positivi si sono conseguiti soprattutto da un punto di vista conoscitivo.

 Qualche riserva permane sulla funzionalitĂ  della legge comunitaria come strumento di attuazione delle norme comunitarie. Legge comunitaria infatti molto spesso non serve al recepimento delle disposizioni comunitarie, ma si risolve in uno spostamento cronologico e di una dispersione di centri di imputazione dell’attuazione.

 Il problema di fondo delle residue difficoltĂ  dell’Italia ad attuare le direttive comunitarie risiede, principalmente, nella scarsa attenzione dedicata alla cosiddetta fase ascendente del diritto comunitario.

 L’insufficiente partecipazione alla formazione delle norme comunitarie fa sì che molto spesso gli organi nazionali si trovano a dover recepire disposizioni che piovono sul nostro ordinamento, senza averne assolutamente potuto valutare in anticipo i problemi di compatibilitĂ  col sistema giuridico interno.

 La corte di giustizia ha cercato di costringere fermamente gli Stati al recepimento.

Innanzitutto si ammesso che la direttiva possa produrre effetti diretti, incidendo direttamente sulle posizioni giuridiche dei singoli e venendo conseguentemente invocata dinanzi ai giudici nazionali.

 La corte di giustizia ha infatti affermato tale peculiare efficacia nelle ipotesi di mancato recepimento in termini delle direttive, enucleando tre requisiti necessari:

  1. Si richiede che si tratti di disposizioni chiare e precise complete e giuridicamente perfette, in modo da essere concretamente applicabili, senza ulteriori valutazioni discrezionali in merito alla loro esecuzione.
  2. Occorre poi che le stesse non appaiono condizionate nella loro efficacia né cronologicamente, né all’ intervento del legislatore
  3. Infine si esige che lo Stato risulti inadempiente all’attuazione della direttiva nel proprio ordinamento.

 L’efficacia diretta ed immediata delle direttive inattuate costituisce una garanzia minima nel senso che la disposizione in questione è stata ammessa solo in senso verticale nel senso di consentire ai singoli di far valere un diritto verso uno Stato inadempiente e non anche in senso orizzontale, fra gli individui che risulterebbero titolari di diritti ed obblighi tra loro.

 Il singolo può ricorrere al giudice nazionale, fine di far valere la responsabilitĂ  dello Stato inadempiente nell’attuazione e di ottenere il risarcimento dei danni, ritenendo le ragioni della mancata attuazione tempestiva, il mancato riconoscimento ai singoli delle situazioni giuridiche soggettive recate dalla direttiva.

 Tale diritto al risarcimento viene legato alla ricorrenza di tre condizioni:

  1. l’attribuzione da parte della direttiva, di diritti a favore dei singoli;
  2. la possibilità di identificare il contenuto di tali diritti sulla base delle disposizioni della direttiva un tipico
  3. l’esistenza di un nesso di casualitĂ  tra la violazione della direttiva da parte dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi.

 Spetta ai giudici nazionali di valutare la sussistenza del danno e la sua quantificazione

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