Il primo autore che dedicò la propria riflessione alla costituzione fu Giovanni di Salisbury verso la fine del XII sec.. Partendo dal presupposto che la costituzione è un ordine giuridico dato di natura consuetudinaria, l’autore dà una definizione di re, principe e tiranno. Il principe è colui che pur essendo legibus solutus, nell’esercitare il potere deve rispettare una norma fondamentale: l’equità. Infatti, se egli non rispetta tale legge diventa tiranno perché non sa più, non vuole più mantenere unita la comunità a lui affidata. Il principe, dunque, si configura come una sorta di giudice supremo chiamato non a scegliere o indirizzare ma a giudicare secondo equità cioè secondo una regola già esistente nella realtà.

Se poi non applica tale regole diventa tiranno.

Dopo Giovanni da Salisbury un altro intervento sul tema della costituzione è di San Tommaso che ripete che il principe è legibus solutus solo nel senso che non può essere costretto per legge all’osservanza della legge. Cosicché egli deve spontaneamente osservare la legge interpretarla e attuarla. San Tommaso, quindi, riprende la tesi di Giovanni da Salisbury e la inserisce in un discorso più ampio sulle forme di governo richiamando la lezione Aristotelica. San Tommaso afferma che un principe giusto si può configurare solo all’interno della forma di governo monarchica perché essa è la forma di governo ideale adatta a mantenere l’unità e la pace nel popolo. Anch’essa può sfociare nella tirannia ma sicuramente questa possibilità è più remota che nel caso della democrazia intesa come pura potenza del popolo. Infatti, San Tommaso nota che nella democrazia dove il potere è di tutti è più facile che qualcuno non lo eserciti con equità creando fazioni, cosicché, poi, il capo di una fazione si avvia a diventare tiranno e distruggerà l’ordine giuridico dato. Nella monarchia, invece, il fatto che il potere è in mano ad un solo soggetto consente di limitarlo nel caso venga esercitato in maniera iniqua e, quindi, in maniera tirannica. La limitazione si concretizza nel diritto di resistenza riconosciuto al popolo; tale diritto non è diritto alla rivoluzione e diritto a mutare il regime ma serve in via preventiva ad evitare la tirannia stessa. Così San Tommaso precisa che la città ha un optima politia cioè una ideale forma di governo quando sa legare al governo di uno solo anche il ruolo e le virtù dei migliori, quando cioè accanto al monarca dà spazio anche alla componente aristocratica e a quella democratica: cioè mista. Tuttavia la costituzione mista di San Tommaso è diversa da quella degli antichi. Con San Tommaso la costituzione mista non conduce all’equilibrio sociale ma ad un potere monarchico, cioè di un solo soggetto, coordinato con l’elemento aristocratico e con quello democratico.

Nel medioevo, dunque, la costituzione è l’ordine giuridico dato consistente in un insieme di regole consuetudinarie che disciplinano le relazioni quotidiane. Tali regole limitano la potestas del principe il quale, infatti, non può decidere da solo ma necessita sempre della collaborazione di tutti e deve agire sempre con equità. Queste regole rappresentano la base del nascente diritto pubblico.

San Tommaso rappresenta la sua teoria attraverso la metafora organicistica per cui tutte le parti del corpo umano vivono in armonia con le altre solo se c’è il cuore come unico motore.

In tal modo si esalta la centralità del ruolo del principe e al tempo stesso si sottolinea come il suo ruolo dipenda dall’organismo stesso; infatti, l’esistenza del cuore non ha senso in assenza di un organismo da animare.

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