Dopo aver enunciato la nozione di società, l’art. 2248 stabilisce che la comunione costituita o mantenuta al solo scopo di godimento di una o più cose è regolata dalle norme del titolo VII del libro III, cioè dalle norme in tema di comunione non da quelle sulle società.
La società è un contratto che ha per oggetto l’esercizio in comune di un’attività economica, produttiva.
La comunione, invece, è una situazione giuridica che sorge quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comunione a più persone, art. 1100. Ed è una situazione giuridica che, anche se ha origine contrattuale, ha per oggetto il semplice godimento della cosa comune, secondo la sua normale e naturale destinazione economica, art. 1102, 1° comma e art. 2248.
Nei due istituti sono diversi sia il rapporto beni-attività sia i poteri di cui l’ organizzazione di gruppo è investita.
Nella società i beni comuni, cioè il patrimonio sociale, hanno funzione servente rispetto all’attività di impresa, in quanto sono un mezzo per lo svolgimento dell’attività.
Nella comunione, invece, il rapporto beni-attività si inverte, in quanto è l’attività che svolge funzione servente rispetto ai beni; l’attività è un mezzo per assicurare la conservazione della cosa comune e consentirne il migliore godimento individuale da parte dei comproprietari. Ed entro tali limiti sono rigorosamente circoscritti i poteri dell’organizzazione dei comproprietari, art. 1105 e art. 1108.
Il diverso rapporto beni-attività ha come conseguenza un diverso regime patrimoniale dei beni in società rispetto a quello dei beni in comunione.
I beni facenti parte di un patrimonio sociale sono affetti da un vincolo di stabile destinazione, per la durata della società, allo svolgimento dell’attività di impresa; vincolo che opera sia nei rapporti fra i soci che nei confronti dei terzi.
Tale vincolo nella comunione è assente.
Per realizzare tale vincolo di destinazione il legislatore ha usato diverse tecniche nelle società di persone e nelle società di capitali, ma vi sono dei principi comuni:
il singolo socio non può liberamente servirsi delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei allo svolgimento dell’attività di impresa programmata, ex art. 2256;
il singolo socio non può provocare a sua discrezione lo scioglimento anticipato della società e la conseguente divisione del patrimonio sociale, ex art. 2272 e 2484;
i creditori personali dei soci non possono soddisfarsi direttamente sul patrimonio della società, art. 2270; esso è aggredibile solo dai creditori sociali, cioè la società gode di autonomia patrimoniale.
Nella comunione, invece:
ciascun comproprietario può liberamente servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la naturale destinazione e non impedisca agli altri comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto, art. 1102;
ciascun comproprietario può in ogni momento chiedere lo scioglimento della comunione, art. 1111, ponendo fine alla comunione;
i creditori personali dei singoli comproprietari possono liberamente aggredire anche la cosa comune per soddisfare il proprio credito, art. 599, 1° comma e art. 600, 1° comma, c.p.c.
Quindi, nella comunione manca un vincolo di destinazione sia nei rapporti interni che nei rapporti esterni. La comunione non gode di autonomia patrimoniale.
L’esigenza di assicurare stabilità e solidità patrimoniale all’attività di impresa esercitata in forma societaria legittima la profonda alterazione del regime patrimoniale della comunione che si riscontra nelle società.
Stabilendo che la comunione costituita o mantenuta al solo scopo di godimento è regolata dalle norme della comunione e non da quelle delle società, il legislatore ha voluto fissare il principio che il regime patrimoniale delle società è applicabile solo quando i beni sono destinati allo svolgimento di un’attività di impresa.
Solo tale destinazione legittima la formazione di un patrimonio comune, indivisibile su iniziativa unilaterale (vincolo di destinazione) ed insensibile alle pretese dei rispettivi creditori personali (autonomia patrimoniale). Quando invece, lo scopo perseguito è solo quello di godere i beni messi in comune, la disciplina applicabile è quella della comunione.
In base a questa distinzione, l’art. 2248 deve essere letto nel senso che sono vietate le società di mero godimento. Esse sono un abuso dell’istituto societario ed un abuso a danno dei creditori personali dei comproprietari.