Il tema dell’invalidità delle deliberazioni risulta essere molto delicato se si considera quanto devastanti possono essere gli effetti di un loro annullamento nella dinamica dell’attività sociale, dove ciascun atto costituisce un anello di una catena.
Il riformatore, quindi, consapevole della necessità di tendere al consolidamento delle posizioni, ha inciso profondamente su quella che era la precedente disciplina:
- ha delimitato con più precisione le ipotesi di nullità e di annullabilità.
- ha posto limiti più o meno consistenti alla possibilità di impugnativa.
- ha indicato espressamente una serie di vizi che, pur costituendo violazioni di legge, non possono dar luogo ad impugnativa o possono comunque esser rimediati a posteriori.
La regola generale è quella secondo cui:
- la nullità consegue soltanto ad una serie di violazioni particolarmente gravi. La disciplina relativa a quest’ultima, tuttavia, non si richiama alle regole generali sulla nullità dei contratti (artt. 1421, 1422), ma contiene disposizioni del tutto particolari e fortemente limitative. L’unica caratteristica tipica della nullità, comunque, è che la legittimazione all’impugnativa viene riconosciuta a chiunque vi abbia interesse.
- l’annullabilità delle deliberazioni, indotta da violazioni di legge o di statuto, può essere fatta valere dai soci (individualmente) assenti, dissenzienti o astenuti, dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza (sistema dualistico) o dal collegio sindacale (collegialmente).
Il termine per proporre l’impugnativa è di novanta giorni e decorre dalla data della deliberazione. Qualora questa sia soggetta a pubblicità nel registro delle imprese, il termine decorre dalla data dell’iscrizione nel registro, oppure, qualora essa sia soggetta soltanto a quest’ultima formalità, dalla data del deposito presso il registro stesso.
All’impugnazione da parte dei soci la nuova disciplina (art. 2377 co. 3) pone un duplice limite:
- un limite qualitativo: devono essere portatori di azioni legittimate al voto con riferimento alla deliberazione che si intende impugnare. Il riferimento all’azione (non all’azionista) comporta che il socio sia legittimato all’impugnativa anche qualora non lo sia al voto (es. moroso nei versamenti).
- un limite quantitativo: la legittimazione viene riconosciuta soltanto qualora essi rappresentino un coacervo di azioni che, per le società aperte, ammonta all’1 del capitale sociale, e per le altre al 5%. La dimostrazione di tale possesso azionario spetta al socio, ma la norma non richiede un particolare modo di procedere (es. deposito delle azioni in cancelleria, estratto del libro dei soci). L’art. 2378 co. 2, inoltre, nel disciplinare le modalità procedimentali, fa riferimento al possesso di azioni al tempo dell’impugnazione. Le successive vicende societarie, quindi, restano ininfluenti sulla legittimazione ormai acquisita.
Il limite quantitativo in esame, tuttavia, è derogabile, perciò lo statuto può escludere questa limitazione, ammettendo l’impugnativa anche del socio portatore di una sola azione, o ridurre il tetto necessario richiedendo il possesso di un numero più limitato di azioni.
Ai soci che si vedano preclusa l’impugnativa per mancanza dell’uno o dell’altro di questi requisiti la norma (co. 4) riconosce un diritto al risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto. Tale azione, dovendo essere proposta nei confronti della società, porta alla singolare conseguenza che questa, oltre a sopportare il danno conseguente alla deliberazione in questione, deve anche accollarsi il risarcimento a favore dei soci impugnanti, i quali concorreranno come soci a risarcire sé stessi.
Il minimo di partecipazione dei soci impugnanti deve mantenersi durante tutto il tempo del giudizio (art. 2378 co. 2), quindi il trasferimento in corso di causa, per atto tra vivi, anche solo di parte delle azioni, può essere motivo di perdita della legittimazione alla continuazione dell’azione. L’art. 2378 co. 2, in particolare, dispone che fermo restando quanto disposto dall’art. 111 c.p.c. (impugnativa da parte dell’acquirente) qualora nel corso del processo venga meno a seguito di trasferimenti il richiesto numero di azioni, il giudice non può pronunciare l’annullamento e provvede sul risarcimento dell’eventuale danno, ove richiesto
La norma, tuttavia, ponendo ulteriori paletti all’esercizio dell’impugnativa, comporta che la deliberazione non possa essere annullata:
- per la partecipazione all’assemblea di persone non legittimate, salvo che questa sia stata determinante ai fini del quorum costitutivo.
- per l’invalidità di singoli voti o per il loro errato conteggio, salvo che siano stati determinati ai fini del quorum deliberativo.
- per l’incompletezza o l’inesattezza del verbale, salvo che impediscano l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità delle deliberazioni.
Con riferimento ad ipotesi particolari, due disposizioni tendono a limitare ulteriormente l’impugnativa, tanto per annullabilità quanto per nullità:
- art. 2434 bis, con riferimento alle deliberazioni di approvazione del bilancio dispone che:
- l’impugnativa non può essere proposta dopo l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo.
- qualora il revisore non abbia formulato rilievi al bilancio, la legittimazione spetta soltanto a tanti soci che rappresentino almeno il 5% del capitale.
- art. 2379 ter detto una disciplina particolare con riferimento alle deliberazioni aventi per oggetto l’aumento/ riduzione del capitale e l’emissione di obbligazioni. Con riguardo alle ipotesi di annullabilità, esso dispone che, quando si tratti di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l’invalidità di queste deliberazioni non può essere pronunciata dopo che sia stata iscritta nel registro delle imprese l’attestazione che l’aumento è stato anche parzialmente eseguito e dopo che la deliberazione di riduzione o quella di emissione di obbligazioni sia stata anche parzialmente eseguita.