Il marchio serve a contraddistinguere l’ impresa di provenienza: viene apposto sui prodotti, e perciò si usa dire che ne è un segno estrinseco, così individuandoli in modo da renderli riconducibili alla loro fonte di produzione. Il marchio potrà consistere in parole o in segni non riconducibili a un codice linguistico o in immagini e allora tendenzialmente in tutto ciò che sia idoneo a contraddistinguere. La figura idonea a contraddistinguere potrà anche essere minimale. Benchè di regola il marchio debba essere estrinseco, potrà essere evocata anche la forma del prodotto (cd. marchio di forma o tridimensionale), purchè eterodossa rispetto a quella usuale.
Le diverse capacità significative consentono l’ apposizione su un prodotto di più marchi, ciascuno distintivo per la sua competenza. Il marchio non è inteso ad esprimere e a pubblicizzare sul mercato le qualità di un prodotto direttamente, ma per riflesso. Lo strumento di individuazione del prodotto in quanto proveniente da una determinata attività d’ impresa si trasforma così in veicolo generalizzato di valori. E chi ne usa legittimamente si vede allora protetto dalla legge contro chi usi un segno identico al suo per prodotti o servizi identici, col rischio di confusione.
L’ evocazione di valori si esaspera quando l’ apposizione di un marchio rende, agli occhi della massa, pregevole un prodotto indispensabile da ogni giudizio su precedenti attività nel settore di riferimento. In tali casi (cd. marchio celebre) il carisma dell’ imprenditore sostituisce ogni valutazione obiettiva pregressa. Il marchio risulta invece più legato alla qualità del prodotto quando è collettivo. Nulla esclude che un’ impresa goda di più marchi. Un’ impresa potrà fruire anche di un marchio generale e di uno speciale, il primo distintivo dell’ impresa, il secondo del particolare prodotto, con spiegabili e lecite assonanze che qui non creano confusione (esempio fiat- fiat uno).