L’art 41 dice che “l’iniziativa privata è libera” ma allo stesso tempo dice che “non può porsi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, libertà, dignità umana” e infine che “ la legge determina programmi e controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa esser indirizzata e coordinata a fini sociali”. L’art 43 parla poi della possibilità da parte della legge di poter riservare originariamente o trasferire determinate imprese o categorie di imprese allo Stato, enti pubblici, comunità di lavoratori o utenti, per fini di utilità generale, con espropriazione salvo l’indennizzo. Tutto ciò vuol dire che la legge deve determinare programmi (ossia determinazione concrete dell’attività economica, non norme generali e astratte) e controlli per indirizzare e coordinare a fini sociali lì attività economica pubblica e privata. Ciò vuol dire che l’operatore economico potrà muoversi nell’ambito del programma autoritativamente fissato (NON in un sistema legislativo di norme). La legge quindi attuerà questo principio costituzionale: si potrà usare una politica “della mano leggera” o un Più vicino a un’economia di Stato. Nel momento attuale le imprese pubbliche e private (sistema economico “misto”) devono coesistere in uno stesso sistema economico in un regime di libera iniziativa economica e concorrenza (l. 287/1990). Non mancano limitazioni, specie per le necessità di autorizzazioni amministrative. Non mancano neppure fenomeni di dirigismo economico in quanto mediante alcune leggi si è addirittura imposto l’obbligo di investire parte dei capitali nei territori del Sud. L’unico vero tentativo di dar seguito al precetto costituzionale fu la l. 685/1967 con cui si approvò il programma economico nazionale (nella sua totalità di imprese pubbliche e private) per il quinquennio 1966-1970. Ciò è rimasto allo stadio di studio politico però. Successivamente è stato istituito il Comitato interministeriale per la programmazione economica l. 48/1967 (CIPE) con cui si è passato da un sistema di programmazione generale a uno di programmazione settoriale (politica industriale, del commercio con l’estero ecc) e quindi un frazionamento che non giova alla unitarietà della politica economica.

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