L’esercizio di attività di impresa può dar luogo a una dissociazione fra il soggetto cui è formalmente imputabile la qualità di imprenditore ed il reale interessato.
Questo fenomeno è detto esercizio dell’impresa tramite interposta persona. Si hanno due soggetti:
– il soggetto (persona fisica o giuridica) che compie in nome proprio i singoli atti di impresa, detto imprenditore palese o prestanome;
– e il soggetto (persona fisica o giuridica) che somministra al prestanome i mezzi finanziari necessari, dirige di fatto l’impresa e fa propri i guadagni, detto imprenditore occulto o indiretto.
Questo modo di operare solleva dei problemi quando gli affari vanno male ed il prestanome sia una persona fisica nullatenente o una spa o srl con capitale irrisorio, detta società di comodo o etichetta. Ciò potrebbe causare notevoli ripercussioni nei confronti dei creditori, soprattutto se piccoli.
Infatti i creditori potrebbero provocare il fallimento del prestanome, in quanto esso ha agito in nome proprio ed ha perciò acquistato la qualità di imprenditore commerciale. Ma, essendo nullatenente o quasi, i creditori non potranno ricavarne nulla. Con ciò il rischio di impresa non sarà sopportato dal reale imprenditore, ma da questi è trasferito, attraverso l’imprenditore palese, sui creditori.
Parte della dottrina ha ritenuto di poter neutralizzare questi pericoli negativi per i creditori, derivanti dall’applicazione del principio della spendita del nome, escludendo che la stessa sia requisito necessario ai fini dell’imputazione della responsabilità per i debiti dell’impresa. Per l’attività di impresa opererebbero dei principi che consentirebbero di imputare anche all’imprenditore occulto i debiti contratti dall’imprenditore palese, e quindi di sottoporre anche l’imprenditore occulto al fallimento.
La responsabilità cumulativa dell’imprenditore palese e dell’imprenditore occulto, con esclusione di quest’ultima dal fallimento, è stata affermata muovendo dall’idea che nel nostro ordinamento giuridico è espressamente sanzionata la inscindibilità del rapporto del rapporto potere-responsabilità. Chi esercita il potere di direzione di un’impresa se ne assume necessariamente anche il rischio e risponde delle relative obbligazioni.
Tale principio si desume da una serie di norme dettate in tema di società di persone:
– l’art. 2267, 1° comma, che ammette la possibilità di limitare la responsabilità dei soci nei confronti dei creditori, ma esclude che possa essere limitata la responsabilità dei soci amministratori;
– l’art. 2291, che esclude che sia efficace nei confronti dei terzi la limitazione di responsabilità dei soci di una snc;
– l’art. 2318, che affermano che l’amministrazione della sas può essere conferita soltanto ai soci accomandatari (che hanno una responsabilità illimitata);
– l’art. 2320, che afferma la perdita del beneficio della responsabilità limitata per i soci accomandanti di una sas che compiano atti di amministrazione;
– l’art. 2362, modificato dal d.lgs. n° 6/2003, che prevede la responsabilità illimitata del socio unico di una spa;
– l’art. 2497, modificato dal d.lgs. n° 6/2003, che prevede la responsabilità illimitata del socio unico di una srl.
Esso consentirebbe di affermare che, quando l’attività di impresa è esercitata tramite prestanome, responsabili verso i creditori sono sia il prestanome sia l’imprenditore occulto, anche se solo il prestanome acquista la qualità di imprenditore e, quindi, sia senz’altro esposto al fallimento, dato che è stato speso solo il suo nome.
Secondo la teoria dell’imprenditore occulto, l’imprenditore occulto non solo risponderà insieme al prestanome, ma fallirà sempre e comunque qualora fallirà il prestanome. La parificazione sul piano della responsabilità di impresa sarebbe giustificata dall’art. 147, 2° comma della legge fallimentare; oggi 4° comma .
Tale norma completa il principio secondo cui il fallimento di una società comporta il fallimento dei soci a responsabilità illimitata e dispone che il fallimento della società si estenda ai soci la cui esistenza sia scoperta dopo la dichiarazione di fallimento della società e dei soci palesi. Cioè, si abbia fallimento del socio occulto di società palese.
La teoria proseguiva affermando che l’art. 147, 2° comma, legge fallimentare, fosse applicabile per analogia alla diversa ipotesi in cui i soci abbiano occultato l’esistenza stessa della società. Ossia quando si è in presenza di una società occulta, dove chi contratta con i terzi si presenta come imprenditore individuale ma in realtà è socio occulto di una società occulta.
Oggi, il fallimento dei soci occulti di una società occulta è disposto espressamente dal 5° comma dell’art. 147, legge fallimentare .
Se fallisce la società occulta è inevitabile che fallisca anche l’imprenditore occulto.
È affermata anche la responsabilità del socio tiranno di una spa, cioè dell’azionista che usa la società come cosa propria e ne dispone a suo piacimento con l’assoluto disprezzo delle regole fondamentali del diritto societario. Regole violate anche attraverso la confusione dei patrimoni della società e del socio.
È affermata anche la responsabilità del socio sovrano, cioè dell’azionista che, pur rispettando le regole di funzionamento della società, in fatto domini la società in forza del possesso di un pacchetto azionario di controllo.
Critica. L’imputazione dei debiti d’impresa
Entrambe le tesi si fondano sulla presunta esistenza nel nostro ordinamento di due criteri generali di imputazione della responsabilità per debiti di impresa:
a. il criterio formale della spendita del nome, in base alla quale acquista la qualità di imprenditore, con pienezza di effetti, la persona fisica o la società nel cui nome l’attività di impresa è svolta;
b. il criterio sostanziale del potere di direzione, in base al quale risponderebbe e fallirebbe anche il reale interessato.
Ma quest’ultima affermazione non può essere condivisa, in quanto né le norme societarie né la legge fallimentare consentono di dimostrare che un soggetto può essere chiamato a rispondere, né ad assumere la qualità di imprenditore, solo perché egli è il vero imprenditore di un’impresa individuale formalmente imputabile ad altro soggetto o di una società di capitali.
Non lo dimostra la disciplina societaria in quanto è vero che nelle società di persone il socio amministratore non può limitare la propria responsabilità, ma non è vero che la responsabilità illimitata è indissolubilmente legata al potere di gestione.
Infatti, nella snc tutti i soci rispondono illimitatamente anche se la gestione è riservata solo ad alcuni soci. Così come per i soci accomandatari della sas.
L’assunto che nelle società di capitali la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali sia legata al potere di gestione è smentito dalla disciplina introdotta, dapprima dal d.lgs. del 1993 per le srl e, nel 2003 per le spa.
Infatti, non basta più essere unico socio per incorrere in responsabilità illimitata, ma è necessario che vi siano altre condizioni oggettive e formali. Condizioni che la riforma del 2003 ha ridotto di numero e rigore, favorendo il mantenimento della limitazione di responsabilità da parte del socio unico.
Il collegamento indissolubile fra potere di gestione e responsabilità illimitata non è dimostrabile neppure in base all’art. 147 della legge fallimentare .
La teoria dell’imprenditore occulto fonda le sue conclusione su un’estensione analogica: dal fallimento del socio occulto di società palese e dal fallimento del socio occulto di una società occulta, passa per analogia, al fallimento dell’imprenditore occulto. Ma non è così.
Nel fallimento del socio occulto di società palese (regolata dall’art. 147, 4° comma) è fuori contestazione che esista una società con soci a responsabilità illimitata, che il soggetto successivamente scoperto sia socio di questa società e che gli atti di impresa siano posti in essere in nome della società. Ciò che è stato occultato è il numero reale dei soci e il socio occulto fallisce per lo stesso motivo per cui falliscono i soci palesi, ossia perché fa parte della società. Quindi per un criterio formale : la partecipazione a una società di persone.
Nel fallimento del socio occulto di società occulta (regolata dall’art. 147, 5° comma) è fuori contestazione che esiste una società a responsabilità illimitata e che i soggetti successivamente scoperti ne facciano parte. I soci occulti sono tuttavia chiamati a rispondere di atti posti in essere non in nome della società, ma in nome di un socio che opera con i terzi come mandatario senza rappresentanza. I soci occulti, mediante la non esteriorizzazione del vincolo sociale, cercano di sottrarsi al fallimento personale ed alla responsabilità illimitata per i debiti sociali, che sono invece regole inderogabili del tipo di società scelto (snc). Ma, i soci che intendono limitare la propria responsabilità per i debiti sociali devono farlo costituendo un diverso tipo societario, che preveda tale beneficio. Ciò che l’ordinamento intende colpire è l’uso distorto della forma societaria. Anche i soci occulti di società occulta falliscono e rispondono in base a un criterio formale ed oggettivo : la partecipazione ad una società di persone.
L’art. 147, 1° comma, della legge fallimentare, circoscrive il fallimento dei soci illimitatamente responsabili a tre soli tipi societari: snc, sas, sapa. Pertanto, non falliscono né l’unico azionista, né il socio unico di srl, anche se rispondono illimitatamente dei debiti sociali.
Dall’art. 147, 4° e 5° comma, legge fallimentare, si può desumere il principio che chi è socio di una srl risponde verso i terzi anche se la sua partecipazione alla società non è esteriorizzata o se non è stata esteriorizzata l’esistenza della società stessa. Non può essere chiamato a rispondere chi non è socio.
Nel rapporto fra imprenditore occulto e imprenditore palese non vi è nessuna società, dato che nel rapporto che si instaura fra i due soggetti, mancano tutti gli elementi costitutivi del contratto di società: fondo comune, esercizio in comune dell’ attività, divisione degli utili. Il prestanome è solo mandatario senza rappresentanza dell’ imprenditore occulto e non suo socio. Quindi, la situazione giuridica è diversa da quella prevista dall’art. 147, 4° e 5° comma. Perciò, a seguito del fallimento della società occulta, non vi è, per analogia, responsabilità illimitata dell’imprenditore occulto di un’altrui impresa individuale o di una società di capitali.
Ciò trova conferma nei principi che regolano le società di capitali. In queste è sempre individuabile un socio o un gruppo di soci che in fatto controlla e dirige la società. Ma costoro non sono in quanto tali chiamati dal legislatore a rispondere personalmente dei debiti della società. Ne rispondono solo quando ricorre la situazione formale ed oggettiva della concentrazione di tutte le azioni o quote nelle mani di un solo soggetto e le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni.
Con la riforma del diritto societario del 2003 è stata introdotta la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento di società . Le nuove norme riconoscono infatti che le società o gli enti che esercitano il potere di direzione e coordinamento su altre società possono incorrere in responsabilità nei confronti dei soci e dei creditori di quest’ultime società, in caso di abuso del potere di controllo, ossia quando la controllante ha agito nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società controllate, art. 2497, 1° comma (così come modificato dal d.lgs. n° 6/2003). Regole che non vengono considerate dalla teoria dell’imprenditore occulto quando afferma la responsabilità illimitata e l’esposizione al fallimento sia del socio tiranno che del socio sovrano, di chi abusa e di chi usa lo schermo societario.
Una tecnica per reprimere gli abusi
Il dominio di fatto su un’impresa individuale o societaria, formalmente imputabile ad altro soggetto, non implica di per sé responsabilità illimitata per i debiti di impresa.
Diverse tecniche sono state proposte per affermare, in applicazione e non in deroga ai criteri di imputazione previsti dall’ordinamento, la responsabilità personale e l’esposizione al fallimento di chi abusi della posizione di dominio su una società di capitali. La giurisprudenza ritiene che i comportamenti tipici del socio tiranno possono integrare gli estremi di una autonoma attività di impresa di un’impresa di finanziamento e/o gestione a latere della o delle società di capitale dominate. Pertanto, sempre che ricorrano i requisiti fissati dall’art. 2082 , il socio o i soci che hanno abusato dello schermo societario risponderanno come titolari di un’autonoma impresa commerciale individuale o societaria (società di fatto), per le obbligazioni da loro contratte nello svolgimento dell’attività fiancheggiatrice della società di capitale ed in quanto tali potranno fallire sempreché si accerti l’insolvenza della loro impresa. Questa tecnica tutela in modo pieno e diretto solo i creditori delle società di capitali che hanno titolo per agire anche contro il socio e quindi i creditori più forti, ma va a vantaggio anche degli altri creditori.