L’art 10 bis Convenzione di Unione e l’art 2598 hanno avuto la funzione di delimitare l’ambito della categoria degli atti di concorrenza sleale. Questa delimitazione in ambo le norme si è attuata qualificando come atti di concorrenza sleale determinati atti e enunciando un criterio generale di valutazione normativa per gli atti non specificamente qualificati. Non c’è però perfetta coincidenza tra le due formule. Riguardo gli atti singoli c’è avvicinamento tra convenzione e codice a seguito della revisione della Convenzione di Londra: in questo testo è considerato atto di concorrenza sleale ogni atto idoneo a creare confusione non solo con i prodotti (vecchia formulazione 10 bis) ma anche con lo stabilimento e l’attività di un concorrente. Vi è allora identità sostanziale tra 10 bis 2° e 2598 n.1 C.C. Ci sono invece differenze tra n.2 del 3° art 10 bis e n.2 2598 C.C.: la convenzione considera atto di concorrenza sleale le false affermazioni, fatte nell’esercizio del commercio, idonee a determinare discredito dello stabilimento, dei prodotti e dell’attività industriale o commerciale di un concorrente, mentre il 2598 considera atto di concorrenza sleale la diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrenti idonei a determinare il discredito e anche l’appropriarsi di pregi dei prodotti o dell’attività di un concorrente Il C.C. non definisce quindi la falsità delle notizie e degli apprezzamenti, la convenzione non definisce l’appropriazione di pregi come concorrenza sleale. Inoltre il criterio generale della convenzione per valutare gli atti non espressamente qualificati è quello della contrarietà dell’atto agli usi onesti industriali e commerciali, il criterio del C.C. è quello della non conformità del mezzo ai principi della correttezza professionale e della sua idoneità a danneggiare l’altrui azienda: coincidono in pratica i criteri generali e allora devono coincidere i risultati della valutazione che in base ad essi vanno fatti.

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