Si sostiene che la simmetria tra posizione possessoria e posizione proprietaria si risolve nel senso che il possessore non dovrà tenere un comportamento in contrasto col rapporto giuridico reale corrispondente. Pertinente quindi è il richiamo al Carnelutti, secondo il quale il possesso rappresenta un mero fatto storico privo di qualificazione giuridica che nasce come azione senza che vi sia una situazione sostanziale preesistente; il possesso non attribuirebbe al possessore una speciale relazione nei confronti della cosa, ma solo il diritto (cd. alla pronuncia) di chiedere al giudice il mantenimento dello stato di fatto. Da ciò l’autore deduce che non può esistere un accertamento giurisdizionale sul possesso per la semplice ragione che non è una situazione preesistente al processo. Il procedimento possessorio è quindi solo un procedimento di tipo cautelare, l’accertamento riguarderà semmai una pretesa petitoria.

Va segnalato poi che mentre la proprietà racchiude valori di uso e valori di scambio, il possesso non presenta alcun valore di scambio. La giurisprudenza della Cassazione è chiara: oggetto di un contratto di compravendita può essere solo il trasferimento della proprietà di una cosa o altro diritto, con la conseguenza che detto contratto non può avere per oggetto il trasferimento del possesso di un immobile in sé e per sé.

L’idea che il possesso in quanto tale sia privo di un diretto valore di scambio non esclude che la lesione del possesso dia luogo al risarcimento del danno da parte del terzo usurpatore. Infatti l’area del danno risarcibile è destinata a ricostituire il rapporto con la cosa sia nel senso di consentire la riduzione in pristino e di chiedere l’equivalente per il mancato godimento temporaneo, sia nel senso di chiedere il valore sostitutivo della cosa perita. Quando invece l’azione proposta è riferita alla disciplina dell’art. 2043 si è al di fuori della tutela possessoria.

Complessa è la qualificazione della posizione del possessore nell’ambito delle situazioni soggettive del diritto privato.

E’ opportuno accennare al pensiero del Cariota Ferrara, il quale ha fatto ricorso alla nozione di diritto soggettivo per spiegare il possesso che pur presentandosi come un potere che prescinde dal titolo di appartenenza riceve pronta tutela dall’ordinamento. Inoltre per Natoli il possesso dovrebbe essere qualificato come un’aspettativa; per il Betti il possesso è un interesse protetto; per Gentile va qualificato come interesse legittimo; per Venezian è un diritto sui generis che cede in ogni evento alla proprietà; per il Carnelutti, infine, il possesso non è una posizione sostanziale ma solo un “diritto subiettivo processuale”, un’azione che il possessore ha verso il giudice affinché provveda al mantenimento dello stato di fatto.

La costruzione del possesso come potere di fatto è tramandata da una lunga tradizione di studi e si poggia sulla constatazione che ogni ordinamento giuridico dà rilievo e protezione alle situazioni di fatto salvo verificarne la corrispondenza alle situazioni di diritto.

Però può scaturire il dubbio che la formula potere di fatto non consenta da sola di discernere in concreto la serie di possibilità di utilizzo e godimento della cosa. Inoltre stenta a spiegare quelle forme di processo spiritualizzato ove non è necessaria una relazione diretta tra il possessore e la cosa. Peraltro non crediamo che il richiamo al potere di fatto consenta di spiegare i fenomeni di divaricazione tra aspetti connessi all’utilizzo o godimento delle cose e titoli formali di proprietà.

Secondo Pollice il possesso rappresenta lo speciale legame di un bene al complesso delle fortune che a vario titolo appartengono ad un soggetto. Tale idea trova il principale punto di riferimento nel Trimarchi, secondo il quale “il possesso di una cosa di regola si inserisce in un contesto organizzativo, di conseguenza la privazione improvvisa del possesso procura al possessore un danno che va oltre il valore della cosa, perché comprende il turbamento dell’intero sistema di interessi, aspettative, decisioni che si è formato intorno”. In queste parole risuonano le parole del Heck, secondo cui l’interesse del possessore è solo quello di conservare la cosa nella propria sfera di interessi patrimoniali o di vita (teoria della continuità), così che il bene tutelato è il valore organizzativo del possesso.

Sempre secondo Heck la spiegazione del possesso non può risiedere in una relazione materiale tra soggetto e cosa, perché questo è evidente solo nel possesso di cosa mobile; il possesso può essere fisicamente visibile ma deve essere soprattutto storicamente riconoscibile come appartenente alla sfera di interessi del possessore.

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