L’art. 922 c.c. enumera i vari modi di acquisto della proprietà senza porre distinzione tra quelli costitutivi e quelli modificativi della titolarità. Tra i modi di acquisto a titolo originario e quelli a titolo derivativo esiste una relazione molto stretta nel senso che i secondi richiamano i primi. Il rivendicante infatti ha l’onere di provare che il suo acquisto si fonda o risale ad un acquisto a titolo originario (occorre ricordare l’insegnamento a tenore del quale il contratto serve a modificare la titolarità dei rapporti reali ma non a costituire diritti reali in quanto questi trovano esclusivamente la loro fonte in fatti originari).
Su di una linea di confine assai prossima alla fattispecie costitutiva si pongono invece le ipotesi previste dagli artt. 1153 e 1159 c.c. dove il contratto e la buona fede concorrono con gli elementi propri dell’usucapione. Invero, la spiegazione a questo acquisto a non domino non è semplice se posta in relazione al principio (nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet) che governa i modi di acquisto a titolo derivativo. Sembra essere il titolo a fungere da “investitura” e rendere intangibile l’acquisto. La buona fede del terzo e la salvaguardia della libera circolazione dei beni ne traggono così tutela.
Per i modi di acquisto a titolo originario della proprietà da tempo è stato proposto un criterio che dà rilevanza ad una certa graduazione dell’intento diretto alla produzione dell’effetto acquisitivo. In particolare si ha:
- Fatto giuridico, quando l’avvenimento si produce indifferentemente per cause naturali o per l’attività dell’uomo (es.: unione o commistione)
- Atto giuridico, quando la legge prende in considerazione l’attività umana che ha prodotto l’avvenimento (es.: specificazione)
- Atto reale [rientrante nella categoria dei negozi di attuazione], quando si è in presenza di una preminente rilevanza dell’elemento intenzionale (es.: occupazione)
Tuttavia non sembra che in materia di acquisti a titolo originario della proprietà si possa parlare di atti negoziali. Il dubbio trova conferma ove si approfondisca proprio il tema dell’occupazione che dovrebbe, invece, sostenere il diverso avviso. Secondo la tesi in esame, gli elementi costitutivi dell’occupazione sarebbero due: uno esterno, consistente nella presa di possesso; l’altro interno, consistente nell’intenzione di acquistare la proprietà della cosa. Corollario pratico di tale ricostruzione è che l’incapace non può acquistare la proprietà per occupazione. In realtà l’elemento intenzionale non è necessario, come è dimostrato dal fatto che se taluno si impossessi di un res nullius con la erronea convinzione che appartenga ad altri ciò nonostante ne acquista immediatamente la proprietà per occupazione.
L’occupazione, quindi, viene in considerazione per il diritto solo quando l’interesse dell’occupante si è realizzato, cioè quando si sia impadronito della res; mentre resta irrilevante qualsiasi atteggiamento programmatico del volere. Da ciò consegue che l’occupazione, vista come particolare ipotesi di impossessamento, può essere validamente compiuta da un soggetto legalmente incapace così come lo può essere l’acquisto del possesso.